«A preoccuparci sono le ambiguità di questa destra». E ancora, «è imbarazzante, il silenzio della presidente del Consiglio, che tuttora non riesce a dire neppure una parola di condanna».

Questo mercoledì, dall’aula di Montecitorio, la segretaria dem Elly Schlein ha lanciato l’affondo contro Giorgia Meloni sul caso Acca Larentia. In parallelo, nei corridoi di un’altra aula, quella dell’Europarlamento, il gruppo socialista del quale il Pd fa parte ha elevato il tema a livello europeo.

Un blocco progressista è riuscito a ottenere che la conferenza dei capigruppo calendarizzasse per martedì prossimo un dibattito al Parlamento europeo. Oggetto: «Lotta alla recrudescenza del neofascismo in Europa, anche sulla base della parata del 7 gennaio a Roma».

La mossa a tenaglia – da Roma come da Bruxelles – è fatta per inchiodare la leader di Fratelli d’Italia alle sue contraddizioni. «Si sta ricattando da sola perché resta ostaggio del suo passato», ha detto Schlein. «Ci metta la faccia!», ha incalzato il leader Cinque stelle Giuseppe Conte. Ma Meloni – che vanta di essere «una pietra» – resta monoliticamente zitta.

Da Weber a Piantedosi

Il silenzio di Meloni trova una sua copertura politica: basti pensare che il grande normalizzatore dell’estrema destra d’Europa, il plenipotenziario dei popolari europei Manfred Weber, non ha certo sostenuto la richiesta di socialisti, liberali, verdi e sinistra perché il caso Acca Larentia approdasse in Ue.

La frettolosa condanna di Weber al gesto del saluto romano, consegnata a un’agenzia di stampa martedì, era servita come abbaglio. Il giorno dopo, il leader del Ppe ha rifiutato di mettere politicamente nell’angolo la sua sodale Meloni.

Questo mercoledì il gruppo popolare si è riunito, prima della conferenza dei presidenti, ma Weber ha sapientemente evitato di sottoporre il tema della richiesta di dibattito agli eurodeputati del Ppe. In realtà preferiva decidere lui – come spesso accade – che posizione tenere.

E la posizione era contraria al dibattito; il suo portavoce ha spiegato a Domani che per Weber l’episodio è di carattere «locale». Ai socialisti, che hanno lanciato l’iniziativa su richiesta del Pd, i weberiani mandano a dire che «ne discutano in consiglio comunale: il sindaco di Roma non è forse un socialista?».

Iratxe García Pérez, che dei socialisti è la capogruppo, commenta che «Weber ha aperto la porta all’estrema destra». Lo fa dal 2021, e il rifiuto di discutere temi imbarazzanti per Meloni non è un caso isolato. «Anche sul tema delle famiglie arcobaleno penalizzate dal governo, il Ppe si era opposto», nota il capodelegazione Pd in Ue, Brando Benifei. Che spiega: altro che questione locale, «per noi quel che è accaduto – e il silenzio che ne è seguito – è grave, va discusso in sede europea, ed è il segno del risorgere di simbologie che ricalcano il passato, con l’estrema destra protagonista».

Fino all’ultimo i conservatori – il gruppo europeo al quale afferiscono i meloniani – hanno provato a far espungere il dibattito dall’agenda. Il capodelegazione di Fratelli d’Italia, Carlo Fidanza, ha definito la richiesta di dibattito «una iniziativa squallida».

Nelle stesse ore, a Roma, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi si è incaricato di fronteggiare gli attacchi dell’opposizione. Lo ha fatto sostenendo – a dispetto del silenzio della premier – che ci sia stata «una trasversale presa di distanza di tutte le forze politiche» rispetto a gesti «contrari alla nostra cultura democratica»; ha preso le difese dell’operato del governo; ha annunciato che «a cinque esponenti di CasaPound è stato contestato il delitto di apologia del fascismo»; infine ha fatto rimbalzare accuse in direzione dell’opposizione.

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