Più di cento ex membri delle forze di sicurezza afgane sono stati uccisi o fatti scomparire da quando i talebani hanno preso il potere nel paese, il 15 agosto scorso. Lo denuncia un report di Human rights watch, ripreso dal New York Times.

Il report prende in considerazione le testimonianze dei familiari delle persone uccise in quattro province afgane – Ghazni, Helmand, Kandahar, and Kunduz – ma casi di violenza sono stati riportati anche a Khost, Paktija e in altre province. Quando sono tornati a controllare l’Afghanistan, dopo il ritiro di Stati Uniti e Nato, i talebani hanno promesso un’amnistia per i membri dell’ex governo e della sicurezza governativa.

AP Photo/Ahmad Halabisaz

Gli avevano assicurato che arrendendosi e consegnando le armi non sarebbero stati uccisi o puniti. Le famiglie delle persone uccise hanno raccontato che i loro parenti avevano ricevuto delle lettere che garantivano la loro sicurezza, ma l’operazione si è rivelata di facciata.

Secondo Human rights watch, i talebani hanno usato le liste di chi si era consegnato per identificare i collaboratori del governo precedente e ucciderli. «Uno sforzo deliberato di punire i dissidenti e chiunque possa costituire una minaccia», si legge nel rapporto.

C’è chi non ha creduto alle promesse di grazia dei talebani, e non si è consegnato. Le loro famiglie sono state allora minacciate e torturate per scoprire dove fossero i parenti nascosti. Sono specialmente le “red units”, le forze speciali dei talebani, a condurre queste operazioni.

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Negli anni dell’occupazione statunitense erano coloro che conducevano gli attacchi più violenti verso l’esercito Usa e gli alleati della Nato. Oggi a condurre gli attentati più sanguinosi in Afghanistan c’è invece l’Isis-K, la diramazione dello Stato Islamico nella provincia afgana del Khorasan. Le sue violenze vengono usate dai talebani come giustificazione per condurre operazioni di ricerca e detenzione in modo sempre maggiore.

«L’Unama, la missione dell’Onu in Afghanistan, dovrebbe mantenere e implementare il suo mandato – conclude il rapporto – entrare nei centri di detenzione e riportare la situazione. Occorre che si investighi sulle violazioni e gli abusi di diritti umani nel paese».

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