Il paese ha presentato un’assistente digitale incaricata di gestire gli appalti pubblici con l’obiettivo di renderli al «100 per cento liberi dalla corruzione»: avatar femminile in costume tradizionale, promessa di valutazioni “oggettive”, il governo Rama la presenta come simbolo di modernizzazione e trasparenza. Ma lo è davvero? E quali sono i rischi?
L’Albania ha presentato Diella, un’assistente digitale trasformata in “ministra virtuale” incaricata di gestire gli appalti pubblici con l’obiettivo dichiarato di renderli al «100 per cento liberi dalla corruzione».
Dopo i primi mesi come chatbot sulla piattaforma e-Albania, Diella è stata promossa a protagonista della riforma: avatar femminile in costume tradizionale, promessa di valutazioni “oggettive”, trasferimento progressivo delle decisioni di aggiudicazione dall’amministrazione al sistema. Il lancio della versione 2.0 di Diella a inizio 2025 è stato sostenuto da modelli OpenAI su piattaforma Microsoft Azure tramite l’agenzia digitale nazionale; da allora il governo l’ha presentata come simbolo di modernizzazione e trasparenza.
Ma lo è davvero? Basta l’Ia per contrastare la corruzione dell’azione istituzionale?
Responsabilità di funzione
L’anticorruzione non coincide con il solo rispetto formale delle procedure di aggiudicazione di un appalto. Le istituzioni, infatti, funzionano bene quando chi detiene cariche pubbliche, e prende decisioni in questa veste, agisce in modo cooperativo con colleghi e colleghe, offrendo e chiedendo ragioni per l’uso del proprio potere d’ufficio e assumendosi, così, la responsabilità diretta per l’azione istituzionale.
Questo è il nucleo della responsabilità di funzione: pratiche interne e continuative attraverso le quali chi detiene cariche pubbliche dà e riceve conto della propria condotta. Pratiche essenziali, come sostenuto (con Maria Paola Ferretti) nel libro Etica pubblica dell’anticorruzione, per tenere l’istituzione operativa nel tempo.
In quest’ottica, spostare le decisioni pubbliche dalle persone a un sistema opaco non è di per sé un rimedio perché rischia di indebolire proprio quelle pratiche di scambio e confronto che servono a prevenire e riparare la corruzione attraverso il rafforzamento di un’etica della funzione pubblica.
Se il ministro è algoritmico
Aggiudicare in materia di appalti richiede a chi deve decidere di esercitare la propria capacità di giudizio entro i confini del proprio mandato. Se la scelta di aggiudicare è delegata a un processo computazionale poco intelligibile dall’esterno, questo restringe lo spazio in cui chi detiene cariche pubbliche può dare e chiedere ragioni su come la discrezionalità del proprio giudizio è stata esercitata.
L’azione istituzionale si riduce così a mera conformità a regole e procedure, non più esercizio responsabile dei poteri d’ufficio. Inoltre, presentare l’Ia come “ministra” attenua la presa degli umani sull’autorialità dell’azione istituzionale. Diventa, così, più difficile attribuire e rivendicare responsabilità per decisioni pubblicamente “firmate” da un avatar.
La riforma è ammantata di una narrazione della sostituzione dell’arbitrio umano con l’“oggettività” della macchina. Ma, indebolendo il fattore umano, s’indeboliscono anche le pratiche di vaglio e discussione critica, cioè proprio il tessuto che permette di scoprire favoritismi non tipizzati e devianze che non lasciano tracce probatorie semplici, quali, per esempio, forme surrettizie di nepotismo.
La tentazione legalistica
La visione legalistica dell’anticorruzione punta a evitare e punire violazioni di regole formali e a ridurre la discrezionalità che può portare ad abusi di potere.
Tecnologie di Ia possono aiutare segnalando rischi, garantendo uniformità di giudizio e standardizzazione delle decisioni. Ma molte forme eticamente rilevanti di corruzione – per esempio favoritismi che non infrangono in modo lampante una norma – sopravvivono a un regime centrato solo sulle regole. Per sostenere l’azione istituzionale occorrono pratiche rivolte a promuovere un’etica della funzione pubblica all’interno delle istituzioni; serve investire nel sostegno e nella formazione etica di chi detiene cariche pubbliche, affinché disponga degli strumenti necessari per intraprendere un confronto, documentato e autocritico, in merito alle ragioni delle proprie scelte.
La giustificazione pubblica di Diella insiste su oggettività, imparzialità, assenza di bias. Se però il funzionamento istituzionale è opaco, anche buone spiegazioni ex post rischiano di non restituire il percorso deliberativo multilivello tipico di una decisione pubblica.
Due rischi aggiuntivi della ministerializzazione dell’Ia. Se l’avatar è presentato come fonte ultima di decisioni pubbliche vincolanti, gli umani che occupano le cariche pubbliche acquisiscono un alibi (“lo ha deciso il computer”) e viene meno lo spazio per scambiare ragioni e intraprendere una riflessione critica. È il contrario della responsabilità di funzione richiesta a chi detiene cariche pubbliche. Si rischia che l’azione istituzionale sia posta dietro uno schermo che impedisce la riflessione etica necessaria per contrastare la corruzione dall’interno.
L’etichetta di “ministra” alimenta proprio quella dispersione di responsabilità che un’etica pubblica dell’anticorruzione dovrebbe evitare. Vi è, inoltre, un rischio di privatizzazione dell’anticorruzione. Se l’aggiudicazione poggia su infrastrutture proprietarie o rapporti esclusivi con fornitori, una componente essenziale della risposta alla corruzione viene delegata a terzi.
Nel caso Diella, le fonti pubbliche citano cooperazioni tra Microsoft e l’agenzia digitale nazionale: quanto più si sposta il baricentro sulle dipendenze tecniche, tanto più gli anticorpi interni alla corruzione risultano indeboliti.
Un percorso difendibile: l’Ia come sentinella, non come aggiudicatore. Una riforma dell’anticorruzione compatibile con la responsabilità di funzione non butta via l’Ia: ne ridisegna l’incastro istituzionale. Tecnologie come Diella potrebbero essere usate per segnalare anomalie (concentrazione di aggiudicazioni, tempistiche atipiche), non per prendere decisioni.
L’autorità aggiudicante resterebbe così in capo a persone in carne e ossa, tenute a scambiarsi ragioni legate al ruolo intelligibili a colleghi e colleghe e al pubblico. Inoltre, servirebbe un impegno di alfabetizzazione critica. Chi usa Diella dovrebbe, infatti, essere formato anche a contraddirla quando è il caso, e a motivare lo scostamento senza essere penalizzato.
Pratiche di questo tipo arricchirebbero, invece che indebolire, l’esercizio della responsabilità di funzione.
L’anticorruzione non si sostiene imbrigliando la discrezionalità della funzione pubblica in una piattaforma, ma strutturandola in modo che chi detiene cariche pubbliche possa dare e chiedere ragioni su come impiega il proprio potere d’ufficio. Solo se un sistema come Diella potesse essere funzionale per sostenere queste pratiche, allora potrebbe essere di aiuto a far sì che chi detiene cariche pubbliche possa agire in modo responsabile e non come nemico interno dell’azione istituzionale.
© Riproduzione riservata



