«Ma lei crede davvero che continueranno a esistere i manuali cartacei? Se fossi nei panni di un editore inizierei a preoccuparmi». Si respira aria di rivoluzione nell’imponente summit internazionale sul rapporto tra scuola e intelligenza artificiale (IA), Next Gen AI, che si è tenuto a Napoli tra l’8 e il 12 ottobre. L’evento ha visto la partecipazione di migliaia di studenti e docenti provenienti da quaranta paesi diversi. Seminari, laboratori, discussioni: il ricco programma di attività a cui ha dato vita la sinergia tra un gruppo selezionato di scuole e il Ministero dell’Istruzione ha dato a studenti e docenti la possibilità di fruire di numerosi percorsi differenziati, in un’alternanza tra lezioni teoriche e sezioni laboratoriali.

Come in ogni rivoluzione, anche in questo mondo esiste una dialettica tra le posizioni massimaliste di chi cancellerebbe in un colpo solo le lezioni frontali e dubita che a scuola occorrano ancora i testi cartacei, e le posizioni di chi, più cautamente, sta sperimentando un’integrazione tra gli strumenti tradizionali della didattica e le nuove potenzialità offerte dall’IA. Che non sono poche: secondo Simonetta Montemagni, docente di linguistica computazionale al CNR, alcuni programmi sono in grado di fornire l’identikit linguistico degli allievi, uno strumento diagnostico fondamentale per colmare la distanza tra i materiali didattici offerti dai docenti e il livello linguistico di partenza degli studenti.

Alcuni programmi, inoltre, sono in grado di ricostruire l’evoluzione delle abilità di scrittura a partire da testi scritti a mano, così da poter condurre un’osservazione che può avere ricadute positive sul piano della didattica. Altri programma ancora, spiega la preside di un istituto tecnico di Ancona, sono in grado di individuare se un testo scritto a mano è stato prodotto da un essere umano o da un’intelligenza artificiale.

Studenti con bisogni speciali

L’uso dell’Intelligenza artificiale, insomma, può migliorare la qualità della didattica e dell’apprendimento, soprattutto nel caso di studenti con bisogni educativi speciali o con disturbi specifici dell’apprendimento, per i quali è necessaria una didattica personalizzata.

Ad esempio, alcuni docenti del Politecnico di Milano affiancati da Casco, un collettivo di esperti informatici, hanno provato a illustrare una delle applicazioni concrete dell’IA alla didattica: sabato pomeriggio, in una sala sotterranea del teatro San Carlo, uno dei siti in cui si sono svolte le attività in programma, una folta platea di docenti di ogni ordine e grado era intenta a imparare, il più rapidamente possibile, come si crea un Aibook.

L’Aibook funziona come una chatbot, ma il corpus di fonti a cui il software attinge per rispondere alle domande che gli sono poste è selezionato a monte dal docente. Le fonti sono interrogabili tramite un «indaginario», ossia una griglia di domande guida attraverso cui si esplora il testo, senza indici né capitoli.

Ma se questo strumento può mettere gli studenti con bisogni particolari nelle condizioni di apprendere al meglio, partendo da fonti selezionate in modo mirato, un uso totalizzante di questo o di altri strumenti simili non allena i giovani lettori alla fatica cognitiva di decodificare, individuare le inferenze e gerarchizzare le informazioni all’interno di testi molto lunghi.

Un allenamento che, procedendo per gradi, dovrebbe condurre a comprendere testi via via sempre più estesi e complessi; così come va allenata anche la capacità di ascolto.

Teoria e pratica

Come ha ricordato un altro relatore intervenuto al summit, Cosimo Accoto, filosofo e ricercatore affiliato al MIT di Boston, l’utilizzo dell’IA a scuola necessita di una sperimentazione nella quale il piano pratico funziona come riflesso del piano teorico. Tuttavia, il piano teorico non può limitarsi a considerare solo il rapporto tra strumenti didattici e sviluppo cognitivo, ma deve indagare anche l’emergente cornice ontologica ed epistemologica della IA.

L’intelligenza artificiale non ha uno statuto referenziale esterno alla lingua: ciò significa che il mondo, dal punto di vista dell’IA, non esiste se non nella misura in cui esso è rappresentato da sistemi linguistici al cui interno collocazioni di parole danno statisticamente luogo a testi dotati di senso. Il loro mondo non è altro che testo. Ma un’intelligenza artificiale, da sola, non è in grado di riconoscere le fonti autentiche da quelle false.

Una sfida

La scuola, dunque, ha il compito di educare l’umano all’uso delle fonti e alla verifica dei testi realizzati dai modelli generativi come ChatGpt. Altrimenti si rischia di cadere in clamorosi errori, come è accaduto agli studi legali di Firenze saliti agli onori delle cronache per aver basato la scrittura delle proprie memorie difensive su sentenze fantasma, frutto dell’imprevedibile creatività delle intelligenze artificiali. Questo è uno dei motivi per cui, come hanno messo in guardia Simonetta Montemagni e altri relatori, l’uso nella didattica del Deep Learning e dei modelli generativi come ChatGpt necessita di ulteriori ricerche.

Nella riflessione sulla relazione tra didattica e Intelligenza artificiale, in definitiva, non è stato raggiunto ancora un orientamento univoco: al di là di ogni furore tecnocentrico o umanistico, la speranza è che si possano tenere insieme, con una buona dose di senso pragmatico, gli strumenti che hanno reso possibile l’evoluzione della nostra civiltà con le nuove tecnologie che la stanno proiettando verso il futuro.

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