“La raccoglitrice di alghe” potrebbe essere il titolo di un libro ambientato al mare, invece è la storia imprenditoriale di Cristina Garcìa, biologa marina spagnola che cinque anni fa ha fondato La Patrona Algas, un’azienda gestita da un collettivo di donne, amanti dell’oceano Atlantico e in particolare delle coste galiziane. Il loro lavoro consiste nel raccogliere le alghe e trasformarle in cibo.

Sono un po’ come delle vendemmiatrici che indossano le mute al posto degli scarponi di gomma per entrare in campo. Un “terreno” vastissimo, quello dell’oceano che tocca le coste galiziane e che sposa la scelta di una produzione rigenerativa. Cristina non nasce da quelle parti, è originaria di Madrid – città senza mare – ma da adolescente è una patita dei documentari sui mari di Jacques Cousteau.

Al punto di proseguire gli studi universitari in Scienze ambientali e specializzarsi in gestione degli spazi marini protetti, su pesca e acquacoltura sostenibili. Lascia anche la capitale spagnola per la più piccola e tranquilla Cambados in provincia di Pontevedra, appena 13mila abitanti e un affaccio incantevole su spiagge e isole atlantiche.

Qui nasce l’idea di occuparsi delle alghe e di proporle come cibo: «Sono le grandi rigeneratrici del mare», spiega Cristina, «più di altre piantagioni terrestri, queste foreste marine lavorano attivamente contro l’aumento della temperatura dell’acqua e la cancellazione della biodiversità. Sono capaci di stoccare grandi quantità di CO2 mitigando così il cambiamento climatico».

Biologiche e vegane

Le alghe entrano di diritto nella categoria dei cosiddetti “super food”, alimenti che, grazie alle loro peculiarità organolettiche, si distinguono per i vantaggi nutrizionali. Ricche di fibre, minerali (iodio, potassio, magnesio, ferro, fosforo, calcio) e vitamine (A, B1, B2, B9, B12, C, E). Sono inoltre una fonte di Omega 3, acido grasso essenziale, che può sostituire il consumo di pesce, che lo assume a sua volta mangiando le alghe (una valida alternativa per i vegani, ad esempio). Il loro impiego, in verità, è anche più vasto e sono molteplici gli usi: fertilizzanti naturali, alimenti per animali, cosmetici, materie prime per la produzione di imballaggi, tessili, biocarburante. 

La Patrona si concentra sulle alghe come cibo e, inevitabilmente, lo spunto arriva dall’uso che se ne fa nelle cucine asiatiche: «Le coste spagnole», continua Garcìa, «sono ricche di alghe e allora mi sono detta perché non imparare a mangiarle anche noi. Bisogna pensare alle alghe come a un alimento vegetale che, invece di arrivare dalla terra, arriva dal mare». 

Certo, non è esattamente come coltivare un orto. La raccolta si fa in diversi punti della costa galiziana perché La Patrona collabora con i pescatori della zona: «Ci si immerge a bassa profondità», a seconda delle maree, «e si tagliano solo le foglie, lasciando la radice e il gambo, così che l’alga possa continuare a riprodursi. Le ritiriamo al porto e, una volta portate in azienda, vengono lavate, lavorate e confezionate fresche oppure disidratate o salate per utilizzarle più a lungo. Quando non servono grandi quantità siamo io e le mie collaboratrici a effettuare la raccolta in acqua».

In linea con la scelta di un’azienda sostenibile, l’imprenditrice spagnola ha adottato imballaggi compostabili e gli scarti della lavorazione, in accordo con il comune di Cambados, finiscono nei parchi e nei giardini della città come fertilizzanti naturali. Un nome non casuale quello de La Patrona.

La biologa marina ha voluto sottolineare la matrice di genere del suo progetto imprenditoriale e fare dell’azienda un esempio di inclusione: «C’è una lunga tradizione di pescatrici e di figure femminili impegnate nelle cooperative dei pescatori da queste parti. Qui il titolare di una barca, ma anche chi fa lo skipper, è conosciuto come “patron” e volevo evidenziare l’importanza del lavoro svolto da queste donne nel settore. Va detto anche che tutte le volte che cerco nuovo personale a rispondermi sono praticamente solo donne e credo anche siano soprattutto loro a impegnarsi nello lotte ambientaliste».

Zero rifiuti 

A Cambados si lavorano cinque specie di alghe: kombu, wakame, spaghetti di mare, lattuga di mare e percebe. Sono tutte commestibili come se fossero foglie di insalata – ovviamente se si è amanti del gusto iodato e del sentore “marino” – ma Cristina consiglia di usarle in decine di ricette, come zuppe, smoothie, pane, pasta, risotto e ripieni. L’idea è anche quella di sostituire il sale con la loro polvere, per un effetto umami (il cosiddetto quinto gusto) garantito.

La raccolta va incontro alle stagioni perché solo alcune alghe – come la percebe – c’è tutto l’anno; altre si tagliano in inverno quando l’acqua è più fredda, mentre d’estate ci si ferma perché è il momento della riproduzione. La kombu è bruna e a foglia piatta, la wakame ha una foglia allungata e frastagliata e un retrogusto dolce, gli spaghetti di mare assomigliano più a delle tagliatelle e il sapore ricorda i fagiolini verdi e la pasta di farro.

Infine l’alga percebe ha le sembianze di un piccolo tronco con tanti rami, ha una consistenza croccante ed è piuttosto gustosa. Volutamente i prezzi sono bassi perché Cristina non vuole farne un cibo gourmet o esclusivamente per l’alta ristorazione. In Italia lo distribuisce SuperNaturale, l’azienda-collettivo romana impegnata nell’importazione e distribuzione di prodotti etici.

Anna Pasolini è tra i soci e ci spiega come sono arrivati a Cristina e alle sue alghe: «Il mare è il grande assente nel dibattito sul clima e sull’inquinamento e chi come noi si occupa di commercializzazione fa fatica a trovare un prodotto realmente sostenibile perché c’è sempre qualche passaggio della filiera che presenta delle ombre. Prima di interessarci de La Patrona abbiamo cercato di introdurre nel nostro catalogo le alici. Alla fine abbiamo rinunciato perché non era possibile rispettare tutti gli standard.

La stessa idea di vendere prodotti ittici appare al momento anti-ecologica se si pensa che secondo l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), oltre il 30 per cento delle risorse ittiche del mondo sono sovra sfruttate o esaurite e ci sono circa sessanta specie di pesce a rischio di estinzione». 

La foresta come nursery

Ecco spiegata la scelta delle alghe, quindi, un prodotto di mare il cui consumo non ha un impatto negativo sull’ambiente. La stessa azienda La Patrona d’altronde ha un accordo con la regione galiziana sul quantitativo di alghe da poter prelevare. 

Per Cristina queste “foreste” di alghe sono come dei vivai, una sorta di nursery dove stelle di mare, cavallucci marini e i piccoli dei pesci vanno a nascondersi per crescere in sicurezza: «Faccio questo lavoro», racconta Cristina, «perché il mio sogno era vivere al mare, nuotare tra questi boschi marini, camminare verso i tramonti, respirare il mare tutti i giorni. Non è solo un lavoro, è chiaramente un progetto di vita e sono davvero convinta che le alghe possano incontrare il favore di diverse tipologie di consumatori, dal salutista, al vegetariano o vegano, agli intolleranti al lattosio o ai celiaci. Fino ai buongustai che amano provare cose nuove».



 

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