Appena Andrea Caschetto comincia a raccontarsi emerge la sua straordinaria capacità di trasmettere leggerezza e buonumore. Parla dell’armonia come di una disciplina dell’anima: per lui sorridere è una vocazione, un’urgenza gentile che accompagna ogni gesto. Nato a Ragusa 35 anni fa, porta la scintilla del sorriso fra le strade del mondo. Viaggia leggero, con uno zaino pieno di palloncini, e bussa alle porte degli orfanotrofi dei Paesi più poveri chiedendo vitto e alloggio in cambio di attività e laboratori creativi per i piccoli ospiti.

«Ciò che può sembrare sofferenza – ci dice – è, in realtà, un antidoto alla tristezza. I bambini orfani hanno poco da offrire, ma sanno sorridere meglio di chiunque altro. Per donare loro un contributo significativo, a volte, basta soltanto un abbraccio».

Andrea sostiene che il volontariato non sia soltanto un atto di generosità, ma un processo di crescita personale che porta a connettersi con le emozioni altrui: un’esperienza che, trasformando la prospettiva esistenziale e insegnando a guardare la realtà con occhi diversi, arricchisce il proprio bagaglio interiore. È un principio che Caschetto ha ribadito anche nel 2016 intervenendo all’Assemblea delle Nazioni Unite a New York: un momento intenso, coronato da un riconoscimento per il suo impegno sociale e da un applauso che, crescendo, si è trasformato in una standing ovation. Eppure, per lui, le tappe davvero decisive sono state altre: India, Brasile, Mozambico, Bolivia, Malawi e Colombia.

Rialzarsi dall’abisso

«Sono state avventure appaganti che mi hanno permesso di offrire supporto quotidiano e relazionale costruendo con pazienza un legame di fiducia». Dietro il sorriso, però, si nasconde un’avventura piombata come una parentesi inattesa. Da adolescente Andrea ha affrontato un tumore all’emisfero sinistro del cervello che gli ha compromesso parte della memoria. «Per tutti, e per me stesso, ero diventato memoria zero – racconta – un soprannome che mi piaceva così tanto da trasformarlo nel nickname della mia prima email».

Superata quella prova ha trovato un’altra direzione. «Dopo essere uscito vittorioso da un periodo in cui le difficoltà avevano segnato ogni aspetto della mia vita, nel 2009, a diciannove anni, sono partito per il mio primo viaggio in Africa. Al ritorno ricordavo nitidamente i volti dei bambini e le giornate trascorse insieme. Incredulo, mi sono chiesto perché quelle immagini restassero così vive. Ho capito che le emozioni autentiche sono quelle capaci di passare dalla memoria breve a quella lunga. Da questa consapevolezza è nata la voglia di dar vita a quelli che chiamo “viaggi emotivi”: percorsi che, imprimendosi dentro, mi hanno fatto sentire finalmente come tutti gli altri».

Fermo sostenitore dell’idea che le storie abbiano bisogno di punti di svolta e di fughe in avanti, Caschetto decide di intrecciare la sua esperienza da globetrotter con la sua formazione. Dopo la laurea in Comunicazione, Media e Pubblicità allo Iulm di Milano e il Master in Cooperazione internazionale all’Università Cattolica, consapevole dell’importanza dell’unità, dell’uguaglianza e della solidarietà, si trova nella condizione di poter scegliere liberamente di dare forma a ciò che più gli stava a cuore.

«Il viaggio è per me il libro più prezioso; ogni luogo è una pagina che sa sorprendere, soprattutto quando smentisce gli stereotipi con cui spesso lo immaginiamo. Amo trovarmi tra persone per le quali la parola “pregiudizio” non esiste e scoprire nei loro sorrisi — a volte timidi, a volte segnati — una forza silenziosa. È la forza di chi affronta ogni giorno la propria battaglia con dignità e gentilezza, insegnandoci, senza pretenderlo, un modo più autentico di stare al mondo».

Da bambino sognava di diventare magistrato, affascinato dalle figure di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Immaginava di seguirne le orme e, un giorno, a sradicare la mafia. Ma la vita, lo ha condotto altrove: lungo il sentiero della cooperazione, un terreno diverso ma non meno ricco di impegno, dove ha scoperto altre forme di giustizia. In quella nuova direzione ha trovato un’altra missione. Con l’ironia di chi ha imparato a ridere anche delle proprie fragilità liquida la questione con una battuta: «Con i miei problemi di memoria sarebbe stato complicato fare il magistrato».

In tutto questo percorso Andrea ha maturato una convinzione profonda: «Per fare del bene non bisogna solcare terre lontane; a volte basta fermarsi, guardare qualcuno negli occhi e scambiare due chiacchiere. Mi accade spesso, tanto nelle carceri minorili quanto con gli anziani che vivono in solitudine, ai quali offro compagnia e presenza. Non servono imprese straordinarie: sono i gesti semplici, umili, quotidiani a rendere grande una persona».

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