L’operaio 25enne è rimasto vittima di un infortunio, in fabbrica, a Cantù, nel 2022. La macchina affidatagli dopo dieci minuti di formazione (in cambio della promessa di un indeterminato) era stata progettata senza alcun tipo di sicurezza. «Nessuno ci aveva avvertito del rischio di bruciature. Il giorno in cui quel pistone si è conficcato nella mia pelle raggiungeva i 600°, di norma non dovrebbe superare i 300° ma era stato manomesso per produrre più velocemente». Il titolare della fonderia è stato rinviato a giudizio
Oggi a mancargli di più è l’odore della fabbrica. L’ultimo suo giorno in mezzo a flex e lamiere Antonino Ferrara se lo ricorda bene. Era il 19 febbraio 2022, aveva da poco lasciato una ditta di pulizie per andare a lavorare alla Fondart, una fonderia che lavora leghe leggere a Cantù, nel brianzolo.
Venticinque anni, una vita ancora da vivere e in testa il desiderio di potersi fare una famiglia tutta sua. La mansione che gli avevano assegnato, fino a quella mattina di febbraio, era di verificare che i pezzi appena lavorati non avessero difetti. «Quel giorno però vengo a sapere che un collega sudamericano stava lasciando la fabbrica per tornare nel suo paese. Il titolare mi dice: “Se prendi il suo posto non ci penso due volte a farti un contratto a tempo indeterminato”», ricorda Ferrara.
«In dieci minuti cercano di spiegarmi come utilizzare il nuovo macchinario. Nella pulsantiera ci sono venti tasti, loro mi mostrano solamente come fare per avviarlo e per spegnerlo. Dopo un’ora il macchinario si blocca. Lo spengo e chiamo il capoturno che cerca di raddrizzare il pistone principale con lo scalpello».
Segnalazioni inascoltate
Nonostante i malfunzionamenti più volte segnalati da Ferrara, nessuno gli dice di fermarsi. «A mezzogiorno – continua – sento uno scoppio. Il pistone si blocca e mi si brucia metà pile. Nessuno di noi aveva una tuta, andavamo a lavorare con gli stessi indumenti con cui uscivamo la mattina da casa. L’unica cosa che ci avevano dato erano dei guanti, ma quando prendevo con le mani gli oggetti appena lavorati, mi capitava spesso di scottarmi».
La sua pelle è salva e, dopo aver comunicato l’ennesima anomalia, qualcuno lo manda in pausa. L’ultimo ricordo è un messaggio inviato alla sua fidanzata Jessica Montagnese alle 13:13. Da lì, il nulla.
Qualche ora dopo i colleghi lo ritrovano incastrato sotto quel pistone che gli aveva dato problemi per tutta la mattinata. Sulla schiena un buco di quasi quattro centimetri, sul resto del corpo diverse ustioni.
Entrato con le sue gambe in fonderia, Ferrara ne uscirà in codice rosso su un elicottero diretto all’ospedale Niguarda di Milano. Due i mesi di coma, poi il risveglio: «Per prima cosa ho subito alzato la coperta. Ho visto che le gambe si muovevano, la mano sinistra però non riusciva ad alzarsi. E poi, pian piano, ho capito quello che mi era successo. Oltre alla mano, avevo perso l’orecchio sinistro e rischiavo di perdere anche l’occhio. A 25 anni, se mi guardavo, mi sentivo un mostro e lì il mondo mi è letteralmente crollato addosso».
Quella macchina ancora in funzione
Nel frattempo la dinamica dell’incidente si fa più chiara. La macchina che gli era stata affidata, dopo una formazione di una decina di minuti, era stata progettata senza alcun tipo di sicurezza per chi la utilizzava. «Nessuno ci aveva avvertito del rischio di bruciature. Poi, per essere più veloci, il titolare aveva anche manomesso la temperatura. Se di norma non doveva superare i 300°, il giorno in cui quel pistone si è conficcato nella mia pelle raggiungeva i 600°», sottolinea Ferrara con amarezza.
«A quel giorno c’ho ripensato tante volte: quando la sera si spegnevano le luci e riflettevo su quello che sarebbe stato il mio futuro, davanti agli amici che si vergognavano a uscire con me, di fronte alle domande dei bambini che mi guardavano straniti per il mio aspetto e, soprattutto, quando prendevo in braccio per pochi minuti mio figlio e avevo paura di fargli male».
E sono proprio Jessica e Leonardo a dargli la forza di andare avanti. A mettere quel nonostante davanti a tutto. «Leo prima non mi cercava, voleva solo la mamma. E io stavo male, piangevo. Poi ha iniziato ad abituarsi al papà che gli è toccato avere: adesso si appoggia sempre sul lato destro perché capisce che l’altro, dove ho la protesi, mi fa male».
Il titolare della fonderia è stato rinviato a giudizio e Ferrara, attraverso delle testimonianze raccolte sui social, ha scoperto che quella macchina, costatagli una parte del suo corpo, è ancora in funzione. «Un ragazzo mi ha detto che, dopo il mio infortunio, ha provato a lavorare lì e stava perdendo una mano. A un altro, invece, è arrivato qualche schizzo caldo in faccia».
«vorrei tornare in fabbrica»
Se a 29 anni è stato costretto a fare l’abitudine con quel dolore al polso che lo accompagnerà per tutta la vita, non riesce invece a darsi pace «per aver subìto un incidente facendo quello che mi dava da mangiare. La mia unica colpa era la fame di guadagnare per potermi fare una famiglia. Il mio lavoro mi piaceva. D’altronde, quello che mi è successo poteva accadere a chiunque. Adesso, ho ancora tutta una vita davanti e non voglio passarla sul divano. Anzi, vorrei tornare in fabbrica».
Attualmente Ferrara è stato formato come impiegato amministrativo e sta svolgendo il servizio civile con l’ANMIL, l’Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro. La stessa con cui si reca nelle scuole per raccontare la sua storia ed evitare che altri si possano ritrovare tutte le mattine, davanti allo specchio, a guardarsi senza avere una risposta per quello che gli è accaduto.
Per evitare che ad altri venga strappato, da un giorno all’altro, il loro quotidiano. «Oltre al lavoro, spesso a mancarmi sono quelle piccole abitudini che prima davo per scontato come l’appuntamento fisso con gli amici a calcetto. Nelle mie condizioni sono tante le cose potrebbero farmi male. Però, vabbè, ormai le bruciature, le macchie su tutto il corpo e nella testa, la protesi all’orecchio, passa tutto in secondo piano. Questa è diventata la mia nuova vita», conclude Ferrara pensando agli occhi del piccolo Leonardo, capaci di mettere a tacere ogni sua paura per un futuro fin troppo incerto.
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