Da oggi anche in Italia sarà possibile somministrare il vaccino anti Covid-19 di Oxford/AstraZeneca alle persone con più di 65 anni. La scorsa settimana sia la Francia che la Germania hanno deciso lo stesso.

La decisione è motivata dai risultati dei primi studi di efficacia dei vaccini Pfizer/BioNTech e Oxford/AstraZeneca sul campo che, oltre a confermare i risultati degli studi clinici, stanno dando indicazioni su alcuni aspetti che non sono stati chiariti dagli studi clinici.

Si tratta non solo dell’efficacia del vaccino AstraZeneca negli anziani, ma anche della possibilità di allungare l’intervallo tra prima e seconda dose e della loro capacità di proteggere dall’infezione asintomatica e dalle forme più gravi della malattia.

Queste indicazioni sono preziose per aggiustare le campagne vaccinali che devono fare i conti con problemi di approvvigionamento, una marcata accelerazione del contagio dovuta alla diffusione delle nuove varianti del SARS-CoV-2 e con la necessità di proteggere il prima possibile le fasce di popolazione maggiormente a rischio.

Gli studi a cui ci riferiamo arrivano dal Regno Unito e da Israele, i due paesi che sono più avanti nell’immunizzazione delle loro popolazioni.

Il Regno Unito dall’8 dicembre al 6 marzo ha somministrato 21.796.278 prime dosi mentre le persone vaccinate (che hanno cioè ricevuto anche il richiamo) sono 1.090.840. Israele, che ha cominciato il 20 dicembre e finora ha impiegato solo il farmaco di Pfizer, ha somministrato 8.645.523 dosi, vaccinando completamente 3.716.430 persone, quasi il 40 per cento della popolazione. L’Italia, partita il 27 dicembre, ha somministrato in totale 5.319. 432 dosi e le persone vaccinate sono 1.631.765.

AstraZeneca per gli over 55

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Purtroppo gli studi clinici sul vaccino AstraZeneca hanno coinvolto un numero ridotto di persone sopra i 55 anni, solo 1.400 contro le 14.000 dello studio Pfizer, e dunque non hanno potuto stimare l’efficacia in quella fascia di età.

Questo ha portato diversi paesi europei, fra cui l’Italia, a raccomandare il suo utilizzo prima fino ai 55 anni e successivamente fino ai 65 anni, nonostante l’EMA lo consigliasse per tutti gli adulti sopra i 18 anni alla luce dei dati di immunogenicità degli studi clinici di fase 1 e 2.

Trovandosi quindi con un milione e mezzo di dosi di AstraZeneca già consegnate ma non utilizzabili nella fase 1 della campagna vaccinale, quelle dedicata a personale sanitario, over 80, personale e ospiti delle RSA, né per i cittadini estremamente vulnerabili, in Italia la vaccinazione degli under 55 è cominciata prima del previsto.

Questo ha di certo causato qualche problema logistico che potrebbe spiegare il sottoutilizzo delle dosi di AstraZeneca. Fino al 6 marzo in Italia sono state somministrate solo 640.784 dosi di AstraZeneca delle 1.512.000 già consegnate, circa il 42 per cento (in aumento rispetto a una settimana fa quando era il 27 per cento), mentre per Pfizer le dosi inoculate sono circa il 99 per cento delle 4 537 260 consegnate (87 per cento una settimana fa).

L’Italia non è l’unica a trovarsi in questa situazione. Al 5 marzo in Francia la percentuale di somministrazione del vaccino AstraZeneca era del 34 per cento contro l’84 per cento di Pfizer (una settimana fa erano 20 per cento e 77 per cento rispettivamente), mentre in Germania la percentuale per AstraZeneca ammontava al 38 per cento a fronte dell’83 per cento di Pfizer (una settimana fa erano 22 per cento e 87 per cento rispettivamente). I dati dicono quindi che negli ultimi giorni c’è stata un’accelerazione nella somministrazione di AstraZeneca.

A convincere francesi e tedeschi e ora anche gli italiani a raccomandare AstraZeneca anche per gli over 65 sono stati i primi risultati delle campagne vaccinali scozzese e inglese.

L’agenzia di salute pubblica scozzese ha realizzato uno studio osservazionale coinvolgendo l’intera popolazione, 5,4 milioni di cittadini (di cui 1 137 775 hanno ricevuto la prima dose), grazie al collegamento tra i database su COVID-19 e altri quattro database sanitari.

I ricercatori hanno confrontato il tasso di ospedalizzazione da Covid-19 nella popolazione over 80 non vaccinata con quello nella popolazione over 80 che ha ricevuto la prima dose di Pfizer o AstraZeneca.

L’efficacia complessiva dei due vaccini aumenta allontanandosi dalla prima dose e raggiunge l’80 per cento dopo 4-5 settimane dalla prima dose, anche se con intervallo di confidenza ampio. Questo risultato è significativo anche per il solo AstraZeneca, poiché in Scozia gli over 80 hanno ricevuto quasi esclusivamente questo vaccino.

Lo studio inglese, invece, si è concentrato sugli adulti sopra i 70 anni di età considerando circa 150 000 persone che si sono sottoposte negli ultimi mesi a un test molecolare per accertare l’infezione da SARS-CoV-2 e confrontando il tasso di positività tra vaccinati e non vaccinati. Così facendo ha stimato che il vaccino AstraZeneca comincia a proteggere dalle infezioni sintomatiche dopo circa 2 settimane dalla prima dose e la sua efficacia si attesta al 60 per cento dopo 4 settimane e al 73 per cento dopo 5 settimane, seppure con margini di incertezza ampi.

«I dati che stanno arrivando dalla campagna vaccinale britannica sull'efficacia dei vaccini, soprattutto nell’evitare le forme gravi della malattia e nelle persone sopra 65 anni sono estremamente incoraggianti», commenta Guido Forni, già professore di immunologia all’Università di Torino e membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei, e aggiunge: «Si tratta di studi osservazionali che da una parte hanno il pregio di includere l'intera popolazione, dall'altra però possono essere soggetti a distorsioni e dunque i risultati vanno interpretati con cautela. Siamo autorizzati a essere ottimisti, ma è importante proseguire l'osservazione e continuare il follow up dei vaccinati».

Ritardare i richiami

(AP Photo/Hau Dinh)

Il nodo che resta da sciogliere è la distanza tra la prima dose e il richiamo. La raccomandazione che arriva dai dati raccolti durante gli studi clinici è di tre settimane per Pfizer e di 4-12 settimane per AstraZeneca. Una nuova analisi di questi dati, pubblicata all’inizio di febbraio, sembra però suggerire che per AstraZeneca sia preferibile aspettare 12 settimane per il richiamo: la protezione della prima dose non diminuisce in quel periodo e a quel punto la seconda dose sembra conferire una protezione maggiore.

In Italia il ministero della Salute raccomanda la somministrazione del richiamo a 3 settimane per Pfizer e «nel corso della dodicesima settimana o comunque dopo almeno dieci settimane dalla prima» per AstraZeneca.

Il Joint Committee on Vaccination and Immunisation britannico invece ha raccomandato a fine dicembre di somministrare la seconda dose di entrambi i vaccini a 12 settimane dalla prima, con l’obiettivo di coprire con la prima inoculazione il maggior numero possibile di cittadini.

Ma se per il vaccino AstraZeneca questa decisione è in qualche modo supportata dai dati dello studio clinico di fase 3, per quello prodotto da Pfizer si tratta di una “scommessa”.

I dati che arrivano dal mondo reale sembrano confortare la decisione del Regno Unito. Uno studio osservazionale sui circa 10.000 dipendenti dello Sheba Medical Centre in Israele, ha osservato un’efficacia dell’85 per cento nell’evitare infezioni sintomatiche dopo 2-4 settimane dalla prima dose e del 75 per cento per quelle asintomatiche.

«La riduzione precoce nelle infezioni asintomatiche e sintomatiche dopo la prima dose supporta la decisione di ritardare la seconda dose per far fronte alla carenza dei vaccini», hanno commentato gli autori dello studio, ma è necessario proseguire l’osservazione per poter acquisire più dati sulla durata dell’immunità conferita dalla prima dose.

Un secondo studio condotto in Israele ha riguardato oltre 500 000 assistiti del Clalit Health Services e ha constatato che la protezione verso le forme sintomatiche e asintomatiche della malattia si instaura già due settimane dopo la prima dose, cresce nelle due settimane successive raggiungendo il 66 per cento e 60 per cento rispettivamente, per poi arrivare a 94 per cento e 92 per cento una settimana dopo la seconda dose (confermando così i risultati dei trial clinici che stimavano un’efficacia del 95 per cento sulle forme sintomatiche dopo la seconda dose). 

Cosa importante: lo studio ha osservato che il vaccino è efficace anche nel prevenire l’ospedalizzazione, le forme gravi della malattia e la morte, con buoni livelli di protezione già a 3-4 settimane dalla prima dose.

Per capire cosa succede oltre le 4 settimane dalla prima dose bisogna però guardare al Regno Unito. Israele, infatti, ha deciso di rispettare le indicazioni della casa farmaceutica e somministrare il richiamo a 3 settimane di distanza.

Lo studio scozzese che abbiamo descritto prima ha studiato anche l’andamento dell’efficacia dei due vaccini dopo la prima dose nella popolazione generale.

I ricercatori hanno stimato che l’efficacia dei vaccini nell’evitare l’ospedalizzazione a causa della Covid-19 cresce per le 4-5 settimane successive alla prima dose raggiungendo l’84 per cento e poi comincia a scendere fino ad arrivare al 58 per cento dopo le 6 settimane.

Visto che in Scozia sono stati distribuiti sia Pfizer che AstraZeneca, è stato possibile valutarli separatamente: a 4-5 settimane dalla prima dose l’efficacia è 85 per cento per Pfizer e 94 per cento per AstraZeneca. Questo però  non vuol dire che Pfizer sia meno efficace di AstraZeneca, perché lo studio scozzese non è stato progettato per confrontare i due vaccini.

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