Percorso netto e record in cassaforte. La nazionale di Roberto Mancini saluta Roma dopo aver battuto 1-0 il Galles e si sposta a Londra, che sarà anche la sede di semifinale per chi è approdato in quella parte del tabellone, e poi della finale dell’Europeo. Arriva nella capitale del Regno Unito macinando record: 30 partite consecutive senza sconfitta (eguagliato il primato che apparteneva a Vittorio Pozzo) e 11 partite consecutive senza subire gol (e qui Mancini ha migliorato se stesso).

Si tratta dei numeri più schiaccianti che una squadra iscritta a questa fase finale possa esibire. Persino troppo alti, tanto da essere il vero rischio per la gestione di entusiasmi e imprevisti. Fin qui la squadra azzurra è stata un'invincibile armata, ma le vittorie vere sono tutte a venire.

E qui si presenta la grande curiosità. La prossima sarà la prima, vera partita da “dentro o fuori” nell'intera gestione di Mancini. L'avversario, stando a ciò che dice il tabellone (Ucraina o Austria) non sarà di quelli insormontabili ma il clima si presenterà comunque diverso.

Ciò significa che la nazionale deve temere la circostanza? Più che altro, dovrebbe cominciare a temere se stessa. Perché fin qui i suoi meriti sono stati indiscutibili. Inoltre, dando una sbirciata alle candidate per la vittoria finale, nessuna ha impressionato. Indicazione che tuttavia può essere fuorviante come poche altre.

Non sempre partire al massimo significa che al massimo si arrivi fino in fondo (o che ci si arrivi, fino in fondo). La fase eliminatoria serve anche a regolare la macchina su una velocità di crociera e un mood di squadra che vanno nella direzione dell'aggiustamento. La storia delle grandi manifestazioni calcistiche parla di squadre che magari hanno arrancato nella prima fase, ma che proprio arrancando hanno trovato l’equilibrio indispensabile per presentarsi con la mentalità giusta alla fase dell'eliminazione diretta. Lì dove bisogna mostrare più pelo sullo stomaco che talento puro.

Favole e maestri 

Già, il pelo sullo stomaco. Quello che da squadre scafate bisogna mostrare quando c'è da vincere un Europeo o un Mondiale. Manifestazioni in cui la vittoria finale spesso non corona il bel gioco. Più probabile vincano le squadre che associano un gioco di buona fattura all'esibizione di sano cinismo tendente carognata. Insomma, per portare a casa la coppa bisogna essere bastardi con gloria. Fare i bellocci e calligrafici va bene in una prima fase, poi serve esattamente il pelo sullo stomaco.

Ma riguardo a ciò, come sta messa questa nazionale azzurra? La risposta è nessuna risposta. Perché fin qui il ciclo sotto la guida di Roberto Mancini, a parte le prime gare in cui c'era da sgombrare le macerie lasciate da Gian Piero Ventura, ha seguito la logica del “sempre avanti”. Un percorso fatti di ostacoli talvolta non facili ma mai insuperabili. Tutti oltrepassati in scioltezza, ciò che è un merito. Mancano appunto l'intoppo, il passaggio a vuoto da gestire, la fase di frustrazione. Che prima o poi dovranno arrivare, ma rischiano di arrivare proprio nel momento sbagliato. Lì dove un'oncia di sana bastardaggine diventa indispensabile per risolvere la situazione.

Notti tragiche

In questo senso andare via da Roma e dall'Italia può far bene, poiché ormai da queste parti il trionfalismo senza trionfo è andato oltre ogni dire. Gli eccessi verbali sono normalizzati, siamo entrati nella dimensione della “favola” e della “nazionale dei maestri”. Ciò che comporterebbe per i ragazzi in partenza verso Londra l'esigenza di un'altra bolla: non anti-covid, ma anti-narrativa.

E magari dovrebbero essere loro i primi a evitare certi riti anti-propiziatori. Per esempio, evitando di cantare “Notti magiche” come è successo nella serata di ieri dopo la gara. Lascino perdere, perché quella oltre a essere una brutta canzone richiama precedenti che sarebbe meglio tenere distanti. Quel che è più, riporta alla memoria una nazionale che proprio per totale mancanza di pelo sullo stomaco mancò i due obiettivi.

Era l'Italia di Azeglio Vicini, così estetica e calligrafica, l'immagine della freschezza calcistica e delle gioie effimere. Fatta fuori prima dall'Europeo di Germania Ovest 1988, quando dopo una prima fase ricca di gioco e elogi venne brutalizzata in semifinale dall'Urss del colonnello Lobanovski. E poi frustrata nell'ambizione massima ai mondiali di Italia 90, appunto, dopo una semifinale a Napoli contro l'Argentina che ancora brucia. Due eliminazioni subìte per mano di squadre che quanto a sana bastardaggine sportiva potrebbero essere dei casi di studio.

Di entrambe quelle spedizioni Roberto Mancini faceva parte come calciatore. Dunque sa. Perciò inviti i suoi a non cantare più quella iattura di canzone. Piuttosto provino con London Calling, canzone dell’inquietudine e della conflittualità sociale. A patto che lo facciano indecorosamente stonati come ieri. E magari siano anche più pronti e unanimi se c’è da inginocchiarsi in onore di Black Lives Matter, dato che da quelle parti ci tengono in modo particolare.

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