Allergia alle proteine del latte e intolleranza al lattosio, non sono da confondere: vanno monitorate nei bambini già nelle prime fasi della vita. Hanno sollevato la questione con uno studio i ricercatori dell’Imperial College di Londra e dell’Università Sechenov di Mosca, recentemente pubblicato sulla rivista JAMA Pediatrics
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L’allergia alle proteine del latte vaccino è una delle forme più comuni di ipersensibilità alimentare nei primi mesi di vita. Spesso confusa con l’intolleranza al lattosio, che però riguarda la digestione di uno zucchero e non coinvolge il sistema immunitario. Compare in genere verso il secondo mese di vita, se il bambino è allattato artificialmente; se il bambino è allattato al seno, in genere, compare al momento dello svezzamento o del passaggio al latte di proseguimento. In alcuni casi, i sintomi emergono anche durante l’allattamento esclusivo, a causa del passaggio nel latte materno delle proteine assunte dalla madre attraverso la dieta.
Nella maggior parte dei casi, è una forma di allergia transitoria, che tende a risolversi spontaneamente entro i primi 3-4 anni di vita. Tuttavia, anche dopo la scomparsa dei sintomi, è bene continuare a monitorare attentamente il bambino.
Sebbene i dati ufficiali parlino di un’incidenza inferiore al 2 per cento tra i bambini, il sospetto di allergia porta spesso a scelte drastiche. L’unico trattamento possibile, infatti, resta l’eliminazione completa di latte e derivati dalla dieta. Una decisione che, specie nei primi anni di vita, può avere ripercussioni significative sul piano nutrizionale e sociale. Proprio per questo, è fondamentale arrivare a una diagnosi solo dopo aver seguito un percorso clinico accurato. Ma nella pratica non è sempre così.
L’analisi del fenomeno
A sollevare la questione è uno studio firmato da ricercatori dell’Imperial College di Londra e dell’Università Sechenov di Mosca, recentemente pubblicato sulla rivista JAMA Pediatrics. Gli autori hanno analizzato nove linee guida internazionali sulla gestione dell’allergia al latte vaccino, diffuse tra il 2012 e il 2019, scoprendo un dato sorprendente: le indicazioni contenute in questi documenti possono moltiplicare, fino a dieci volte, il numero di bambini considerati allergici. Un incremento che, secondo gli esperti, è spesso frutto di diagnosi errate. Alla base del fenomeno ci sarebbe l’abitudine di attribuire a un’allergia sintomi comuni ma poco specifici, come il pianto frequente, i rigurgiti o la diarrea.
I sintomi dell’allergia
I sintomi dell’allergia alle proteine del latte possono variare molto da un bambino all’altro. Alcuni reagiscono in modo immediato, con manifestazioni anche gravi come shock anafilattico o angioedema, mentre in altri le reazioni sono più lente e difficili da interpretare. Possono comparire orticaria, dermatite atopica, difficoltà respiratorie, ma anche disturbi gastrointestinali come vomito persistente, coliche e diarrea. In alcuni casi, quest’ultima può essere severa, accompagnata da perdite di sangue, con conseguente anemia e difficoltà nella crescita.
La diagnosi e il trattamento
Una volta confermata la diagnosi, l’unico trattamento efficace consiste nell’eliminazione completa e temporanea delle proteine del latte vaccino dalla dieta. Il latte artificiale viene sostituito con formule studiate appositamente per bambini allergici. Se il bambino è allattato al seno, sarà la madre a dover escludere rigorosamente il latte e i derivati dalla propria alimentazione, con il possibile utilizzo di alternative vegetali a base di riso o soia, sempre sotto consiglio medico.
Quando il bambino ha già un’alimentazione più varia, la dieta deve essere rivista attentamente per eliminare non solo il latte fresco o artificiale, ma anche tutti gli alimenti che contengono derivati del latte, anche in tracce. Le proteine responsabili dell’allergia, come caseine, lattoglobuline e lattoalbumine, possono trovarsi in moltissimi prodotti industriali, talvolta senza che la parola "latte" compaia chiaramente in etichetta. A tutela dei consumatori, il Regolamento europeo 1169 del 2011 obbliga i produttori a dichiarare in etichetta la presenza di 14 allergeni, tra cui appunto le proteine del latte vaccino.
Occhio alle etichette
L’elenco degli alimenti a rischio è ampio. Oltre ai latticini, il latte può essere presente in dolci confezionati, cioccolato, creme e budini. Anche alcuni insaccati come salsicce, würstel, bresaola e prosciutto cotto possono contenerne tracce. Lo stesso vale per pane e grissini al latte, cereali per la colazione, farine lattee, purè istantanei, pizza, frappé, dessert pronti, cappuccini solubili, gelati e persino alcune gomme da masticare. In caso di dubbio, è sempre bene consultare un esperto.
Un’attenzione particolare va riservata anche allo svezzamento. Nei bambini allergici, è importante valutare con il pediatra se sia opportuno posticipare l’introduzione di altri alimenti potenzialmente allergizzanti come uova, pesce o agrumi. Qualsiasi reintroduzione di alimenti a rischio, compreso il latte vaccino, va pianificata in modo graduale e controllato, sempre sotto supervisione medica. I tentativi fai-da-te, anche se basati su piccole quantità, possono scatenare reazioni serie e compromettere il percorso diagnostico e terapeutico.
Il percorso di reintroduzione del latte non deve mai essere deciso in autonomia. Sarà sempre il pediatra a stabilire i tempi e le modalità più sicure, eventualmente ricorrendo a nuovi test cutanei o al test di provocazione orale, l’unico capace di confermare con certezza la tolleranza acquisita.
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