Nel ristorante tristellato Geranium di Copenaghen, l’italiana Giulia Caffiero crea abbinamenti di succhi con i piatti dello chef Rasmus Kofoed. Un’alternativa non alcolica, culturale e inclusiva che riflette una nuova sensibilità della cucina fine dining
- Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani, sullo sfogliatore online e in edicola
Con i succhi «vai nella direzione in cui vuoi andare». Quando Giulia Caffiero parla del suo lavoro di juice maker per l’opzione di abbinamenti analcolici ai piatti al menù del tristellato danese Geranium, lo fa con toni che sembrano quasi liberatori. E sottolinea il piacere creativo del creare i succhi, come racconta anche nel suo libro Juice Pairing (Topic 2024).
Come è arrivata lei a fare questo?
Quando sei anni fa mi sono trasferita a Copenaghen, per lavorare a Geranium, dove sono assistant restaurant manager, il mio inglese non era ancora perfetto. Qui ho incontrato questo mondo e se dapprima mi ci sono buttata usandolo quasi come “escamotage” per far parlare i succhi, poi è diventato sempre di più una parte essenziale del lavoro, che stimolava la mia fantasia e mi spingeva a creare. E quindi mi ci sono specializzata sempre di più.
Quanto definirebbe importante la Danimarca in questo percorso di interesse per il juice pairing?
In Italia, anche perché abbiamo una cultura del vino molto forte, la parte del pairing non alcolico non è per niente sviluppata. Qui in Danimarca invece è del tutto normale, ed è una scelta del tutto inclusiva. Trovo che di fronte a un cliente che per qualsiasi motivo non vuole bere alcol sia inelegante trattarlo in maniera diversa. Quindi sì, stare qui a livello culturale mi ha dato tantissimo. Esiste un po’ questo stereotipo del nord Europa come un posto “freddo” nei modi di fare: non è assolutamente così, c’è un’eleganza d’animo e un’attenzione al cliente che è enorme.
E come si intreccia con l’identità specifica di Geranium?
Si rispetta totalmente la mentalità del ristorante: come lo chef Rasmus Kofoed usa solo erbe fresche e prodotti locali, lo stesso si fa con i succhi. Ovviamente l’inverno è duro: e per questo d’estate dobbiamo fare un grande lavoro di conservazione. Disidratiamo, creiamo polveri, eccetera, per arrivare preparati.
Più o meno quanti clienti scelgono l’opzione paring con i succhi?
Rappresenta più o meno il 30-40 per cento delle vendite, siamo arrivati a livelli di produzione abbastanza significativi.
Nell’approccio dei clienti al pairing non alcolico vede delle differenze a seconda della nazionalità?
Il paese di provenienza ha un impatto solo fino a un certo punto. Magari sì, gli italiani tendono a provarlo di meno, sarà uno su cinque, perché appunto siamo così abituati al vino. Ma noi abbiamo una fetta di mercato molto importante tra i clienti che vengono dall’Asia, dove c’è una percentuale importante di persone che non bevono. Ma poi ci sono tantissimi altri motivi per cui qualcuno o qualcuna non può bere alcolici: perché è incinta, perché deve guidare…
E osservate un trend di interesse che aumenta, verso questa opzione?
Non userei la parola trend, perché qui è sempre stata rispettata come una necessità. Di certo il fatto che il pairing di Geranium sia conosciuto come molto buono suscita un po’ di curiosità in più tra i clienti, per cui capita anche magari che in un tavolo da due uno scelga di abbinare con i vini e l’altro con i succhi.
In Italia comunque almeno a livello di mercato l’interesse per le bevande non alcoliche sta aumentando…
Sì, diciamo che il nostro ambito dell’alta cucina tende molto sempre a guardare verso l’estero. Era capitato con la cucina molecolare di elBulli e succede anche adesso. Quindi sì, esiste una curiosità da parte di chef che vogliono provare questo tipo di accompagnamento.
Come mai la scelta dei succhi proprio come opzione non alcolica?
Perché rispettava l’identità del ristorante. Al Noma per esempio si va invece su fermentati.
Quali sono le regole principali per abbinare i succhi ai piatti?
Si procede in modo simile al vino. Nel vino si cercano sempre alcuni elementi: la salinità, la persistenza, la dolcezza, il frutto… e poi si cerca l’elemento principale da abbinare al piatto. La stessa cosa vale per i succhi. Solo che purtroppo ancora oggi si studia solo come fare questa cosa con i vini.
Ma c’è un elemento, un profilo più difficile da far emergere in un succo?
No, al contrario è tutto più controllato. Perché sei tu a mescolare gli ingredienti e puoi quindi tu controllarli. Vai nella direzione in cui vuoi andare. Poi certo, ci sono elementi che non puoi controllare: se una settimana le pere sono più acide di quella prima ad esempio. Ma si aggiusta con altri elementi. La cosa più complicata è piuttosto raggiungere un equilibrio: di solito nei miei succhi ci sono almeno tre elementi. La parte più complessa quindi è la stratificazione, farli sentire chiaramente tutti.
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