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Se pure domani mettessimo da parte il fossile, i soli sistemi alimentari continuerebbero a farci oltrepassare il limite di 1.5°C. Tradotto: non è possibile restare entro i limiti planetari (climatici e ambientali) senza cambiare radicalmente il modo in cui produciamo e consumiamo il cibo. A dirlo è la versione 2.0 del nuovo rapporto della Commissione EAT-Lancet, la prima a dichiarare, nel 2019, che una dieta sana non è solo una questione di salute, ma anche di sopravvivenza del pianeta.

Il nuovo dossier nasce dal lavoro di oltre 70 esperti di nutrizione, clima, economia, agricoltura e scienze sociali provenienti da 35 Paesi e sei continenti.

L’alimentazione incide sui danni ambientali


La sintesi a cui arrivano gli scienziati è semplice: anche se il mondo smettesse domani di bruciare carbone, gas e petrolio, i soli sistemi alimentari – dall’agricoltura agli allevamenti intensivi, dal trasporto alla trasformazione – continuerebbero a spingere la temperatura globale oltre la soglia critica di +1,5°C rispetto ai livelli preindustriali.


Oggi, infatti, il sistema alimentare globale è responsabile di oltre il 30 per cento delle emissioni di gas serra, di una quota significativa della deforestazione e dell’inquinamento idrico, oltre che di condizioni di lavoro precarie per milioni di persone. Non solo, questo sistema è profondamente ingiusto: meno dell’1% della popolazione mondiale vive oggi in uno “spazio sicuro e giusto”, cioè in condizioni in cui la propria dieta è adeguata, sana e sostenibile.

La nuova “dieta planetaria”: sana, sostenibile e giusta

La Planetary Health Diet proposta dalla Commissione Eat-Lancet si fonda su tre criteri cardine: l’accessibilità – il cibo deve essere economicamente e fisicamente accessibile a tutti; la sostenibilità ambientale – deve rispettare i limiti planetari e tutelare la biodiversità; la giustizia sociale – deve garantire condizioni dignitose a chi produce e trasforma gli alimenti.
Al centro della dieta ci sono alimenti di origine vegetale – cereali integrali, legumi, frutta, verdura, frutta secca e semi – con un consumo estremamente ridotto di carne rossa e latticini e moderato di pesce, uova e pollame. La dieta incoraggia anche la limitazione di zuccheri, grassi saturi e alimenti ultra-processati, che oggi rappresentano una delle cause principali di obesità, malattie cardiovascolari e diabete.

In tutte le regioni del mondo, i modelli alimentari attuali mostrano gli stessi squilibri: troppa carne e zuccheri, poca frutta e verdura.
Correggere queste distorsioni è cruciale non solo per la salute delle persone, per quella degli ecosistemi, ma anche per l’economia. Terra!, con Greenpeace, Isde-Medici per l’ambiente,Lipu e WWF lo sta facendo con una proposta di legge, "Oltre gli allevamenti intensivi - Per una transizione agroecologica della zootecnia", chiedendo una revisione dell’attuale sistema zootecnico verso un modello più sostenibile.

Prevenire i danni della cattiva alimentazione

Secondo il report, adottare questa dieta planetaria e rivedere l’attuale modello produttivo potrebbe infatti prevenire fino a 15 milioni di morti premature ogni anno legate a cattiva alimentazione; trasformare i sistemi alimentari ridurrebbe le emissioni globali del 50%, contribuendo in modo decisivo al rispetto dell’Accordo di Parigi; migliorare le pratiche agricole e ridurre perdite e sprechi di cibo genererebbe un ritorno economico stimato in 5 trilioni di dollari all’anno, più di dieci volte gli investimenti necessari per attuare la transizione.


Ma poiché non può esserci giustizia ambientale senza giustizia sociale, nel rapporto si parla anche di una novità, della dignità del lavoro agricolo: trasformare il sistema alimentare significa anche assicurare lavoro dignitoso, equità e rappresentanza per chi produce.

Queste azioni richiedono impegno politico, risorse e cooperazione internazionale, ma secondo i ricercatori trovano ostacoli nella debole leadership, negli interessi economici privati e nella scarsa pressione sociale. La Commissione sottolinea infatti che le scelte alimentari sono politiche, perché determinate da sussidi, regole e strategie economiche.
Il messaggio è chiaro: «È tempo di una cambiare l’attuale modello di produzione agroalimentare, perché genera enormi danni ambientali e sociali, per chi produce cibo e per chi se ne nutre».


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