Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata su Luigi Ilardo il pentito di mafia che aveva deciso di collaborare con la giustizia e che è stato ucciso il 10 maggio del 1996, cinque giorni prima di entrare nel programma di protezione. Ilardo stava portando gli investigatori verso il latitante Bernardo Provenzano.


Un giorno, come faceva di solito quando ci doveva parlare di cose importanti, nostro padre ci chiamò nella stanza da letto e, seduti tutti e tre sul lettone, fece il seguente discorso: «Amori di papà, voi state diventando signorine e arriverà il tempo che certe cose non potrete più discuterle con me. Sapete quanto ho combattuto per la mamma e quanto abbia provato in tutti i modi, soprattutto per voi, ad aiutarla e farla guarire».

Si riferiva senza nominarla alla sua dipendenza dall’alcol. «La signora Nuccia, per quanto bene vi vuole e nonostante vi abbia cresciuto in questi anni, non potrà rimanere tutta la vita con noi, anche perché ricordatevi che per crescere voi non ha cresciuto le sue figlie e quindi è doveroso da parte mia cercare di lasciarla un po’ più libera per passare del tempo con loro. Avete capito che Cetty e io ci vogliamo bene, ma la mia scelta di farla stare con voi anche quando non c’ero è stata fatta per farvela conoscere bene e capire se la volevate qui a casa... Ora io vi dico che, se non siete d’accordo, posso frequentarla anche fuori, come ho fatto fino a ora, ma se invece accettaste la sua presenza in casa, io deciderei di sposarla e così sarei più tranquillo per il vostro futuro, sapendovi accanto a una donna che, nonostante non sia vostra madre, rappresenti comunque una figura femminile con la quale voi possiate confidarvi e crescere. Prendetevi del tempo per decidere, rifletteteci... in base alla vostra scelta, io deciderò di sposarla o meno...».

Queste erano le occasioni in cui papà riusciva a toglierci anche il respiro: un gigante buono raggomitolato su sé stesso che, con occhi intrisi d’amore e con il suo italiano senza inflessione dialettale, sapeva mettere totalmente «al tappeto» due piccole ribelli. A quella domanda non ci fu esitazione, io e mia sorella con grande piacere gli dicemmo che eravamo contente e d’accordo con la sua scelta.

Cominciarono i preparativi per il matrimonio; a casa furono giorni di festa tra la scelta degli abiti e di tutto ciò che occorreva. Cetty, più che mai, era felice e orgogliosa della vita da favola che sembrava annunciarsi. A differenza del nostro stato d’animo, però, il resto della famiglia, mio nonno, i miei zii e parenti più vicini non erano d’accordo, il che creava inevitabilmente malumori e discussioni anche dai toni accesi con mio padre. […] La principale causa di controversia era lo «stato sociale» di Cetty, che avendo origini molto umili (i suoi genitori erano semplici «lavoratori»), secondo il punto di vista della famiglia e delle Famiglie non era all’altezza di essere la moglie di Gino Ilardo.

Era innegabile che la sua estrazione sociale fosse molto diversa dalla nostra. Noi seguivamo una disciplina, avevamo un contegno e un modo di pensare austero che sicuramente era ben diverso da quello di Cettina. Lei era del tutto estranea alle dinamiche tipiche delle antiche famiglie mafiose. Era una donna piena di energia, libera nel pensiero e nell’agire. Gli stessi atteggiamenti che a me e mia sorella divertivano e ci facevano intravedere un’esistenza da donna libera erano i motivi di non approvazione delle nozze da parte dei maschi importanti gerarchicamente nella Famiglia, che condividevano in pieno il giudizio del nonno. Impossibile negare che in tutte le occasioni famigliari Cetty si comportasse in maniera ben diversa dalle altre femmine, che ossequiose sapevano stare silenziosamente sempre un passo e una parola indietro rispetto agli uomini.

E matriminio fu!

[…] Il giorno del matrimonio, nonostante discussioni e litigi, anche violenti, arrivò. Cetty e papà si sposarono in comune e tennero il ricevimento in un noto locale catanese. La sposa indossava un abito semplice di seta, a tubino sopra il ginocchio e di color cipria con intarsi di argento, ai piedi un paio di sandali argentati impreziositi da pietre dure; i suoi capelli scuri lunghi e mossi erano raccolti in un’acconciatura arricchita da strass.

Aveva pochi e discreti brillanti al collo e alle orecchie. Il «re», maestoso e imponente come sempre, indossava un abito color grigio perla con camicia azzurro mare e cravatta di seta abbinata; al suo polso un preziosissimo Rolex Daytona in oro giallo. Papà aveva una grande passione per gli orologi importanti, ne possedeva con immenso vanto una sua personale collezione. […] Da lì a pochi giorni, durante la cena, arrivò una delle notizie più belle che potessimo mai sentire: con qualche sorriso complice, lei e papà ci annunciarono che Cetty era incinta! Avremmo avuto un altro fratello in casa, un nuovo pulcino da ricoprire di amore e coccole, una piccola vita che ci avrebbe unito ancora di più e che avrebbe fatto da collante tra me, mia sorella e Iury.

Quell’annuncio consacrava più che mai una famiglia formata e fortemente desiderata, era l’inizio di un cambiamento che prendeva forza e forma. Tutto per la prima volta, in particolar modo nella vita mia e di Francesca, stava diventando «normale». Un padre e una «madre», dei fratelli dentro casa, come nella maggior parte delle famiglie.

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