Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata su Luigi Ilardo il pentito di mafia che aveva deciso di collaborare con la giustizia e che è stato ucciso il 10 maggio del 1996, cinque giorni prima di entrare nel programma di protezione. Ilardo stava portando gli investigatori verso il latitante Bernardo Provenzano.


Qualcuno degli importanti risultati raggiunti. Il 12 aprile 1994 Ilardo aveva incontrato assieme a Ciro Vara un soggetto che gli si palesò come Simone, che gli aveva mostrato alcune buste contenenti delle lettere che disse di avere ricevuto da Bernardo Provenzano, precisando che stava andando in Calabria per spedirle, per farle pervenire ai destinatari, commentando quell’incarico con l’espressione «appena riceveranno queste lettere ne vedremo delle belle».

Nella stessa data della comunicazione – vedete come si comportava Riccio quando era alla Dia, cominciamo a vedere – Riccio informava i suoi superiori della Dia, che il giorno successivo con nota del 15 aprile ’94 informavano ufficialmente la procura della repubblica di Palermo. Alcuni giorni dopo la segnalazione, si apprendeva che Bernardo Provenzano con una lettera spedita da Reggio Calabria aveva sottoscritto, indirizzandola ai giudici delle misure di prevenzione di Palermo, una nomina dei suoi difensori.

All’epoca molti sostenevano che Provenzano fosse morto – ricordo anche il clamore mediatico. Ancora, ma soltanto per limitarci ai risultati più evidenti, il 2 agosto ’94, dopo un breve personale sviluppo delle notizie che gli aveva fornito Ilardo, il colonnello Riccio individuava il rifugio del latitante di mafia Vincenzo Aiello che – lo abbiamo visto incidentalmente in vari passaggi dell’istruzione dibattimentale in questo processo – in quel momento era il vicecapo provinciale di Cosa nostra a Catania. Non venivano arrestati mafiosi di basso rango.

Il 5 agosto con personale della Dia di Catania venivano catturati lo stesso Aiello e altri importanti mafiosi poi condannati per favoreggiamento ad Aiello. Il 21 dicembre ’94, con personale della Dia di Caltanissetta, seguendo le indicazioni specifiche di Gino Ilardo, si procedeva all’arresto del latitante Domenico Vaccaro, in quel momento capo della provincia mafiosa di Caltanissetta.

Indicazioni specifiche, non dicevano (Ilardo a Riccio e Riccio alla Dia e alla procura) «vedete, forse potreste seguire questa persona o questo clan», dicevano «sta lì, vedete se sta lì, seguite queste persone». Lo facevano e li catturano. Il 13 gennaio ’95, sempre con le stesse modalità, sempre seguendo indicazioni specifiche di Ilardo, sempre attraverso la comunicazione tempestiva di Riccio alla Dia, veniva individuato il rifugio del latitante Lucio Tusa e veniva arrestato a Catania, la cui importanza mafiosa si coglie non soltanto con riferimento al suo grado di parentela – è nipote di Giuseppe Piddu Madonia – ma anche come uomo essenziale nelle dinamiche del potere «provenzaniano» in quel momento.

Ancora, Gino Ilardo, era stato in grado di mettersi nelle condizioni di avere notizie specifiche per catturare un altro capo provincia, un altro rappresentante provinciale, Salvatore Fragapane e il 25 maggio ’95 all’alba, dopo una serie di appostamenti, personale della Dia trae in arresto Fragapane. Signori della Corte, ci sarebbero altri risultati clamorosi, comunque importanti.

Questi erano i risultati, i frutti che immediatamente l’asse della collaborazione Ilardo-Riccio, organi inquirenti e magistratura, avevano prodotto. [...] L’arresto di questi latitanti, le modalità esecutive, lo spessore criminale di primo livello di ognuno di loro nel panorama mafioso dell’epoca, il numero di queste operazioni, dimostrano un dato che non si può mettere seriamente in discussione: la professionalità e l’abilità con le quali Riccio tutelò e blindò la segretezza del rapporto, pur in un contesto in cui non fece mai mancare il flusso informativo nei confronti dei suoi superiori e dell’autorità giudiziaria.

Ma non vi ho ancora parlato del risultato che, da un certo punto di vista, è ancora più importante, comunque altrettanto importante rispetto alla cattura dei latitanti.

Per la prima volta, attraverso l’opera di infiltrazione, di collaborazione di Ilardo, venne acquisito quel materiale documentale, i famosi «pizzini», provenienti da Provenzano, quei manoscritti la cui riconducibilità a Provenzano è stata definitivamente consacrata in più sentenze passate in giudicato, tra le quali quella «Grande Oriente», quella «Grande mandamento». Quei «pizzini», che avete acquisito anche in questo processo, sono stati acquisiti nel corso delle indagini per valutare, comparare altri «pizzini», asseritamente provenienti dall’utenza.

Mai e poi mai gli apparati investigativi dello stato avevano avuto a disposizione un’arma viva ed efficace come Gino Ilardo, un mafioso di elevatissimo spessore che riusciva a trasmettere in presa diretta allo Stato tutte le informazioni più nascoste e strategiche della consorteria mafiosa.

Quando i carabinieri del Ros, il generale Mori, presero in mano l’indagine «Oriente» con l’aggregazione di Riccio al Ros, già sostanzialmente a partire dal giugno del ’95, avevano in mano non solo la chiave per arrestare Provenzano, avevano in mano la chiave utile per aprire quella porta che avrebbe loro consentito – se solo avessero voluto – di individuare e scardinare tutto quel sistema provenzaniano che ancora, invece, per lunghi anni, almeno fino alla cattura di Provenzano nell’aprile del 2006 a Montagna dei Cavalli, dominò incontrastato i meccanismi del potere mafioso in Sicilia.

Mori che cosa fece? Mortificò gli sforzi del Riccio e quella facile chiave di accesso al potere provenzaniano di Cosa nostra venne presa e volutamente gettata via, allo scopo di salvaguardare, con il mantenimento della latitanza di Provenzano, il difficile equilibrio faticosamente raggiunto dopo anni di intermediazione nella trattativa Stato-mafia con il prevalere della fazione Provenzano. [...] Non si può nemmeno ipotizzare la decisione del mancato intervento a Mezzojuso come frutto di una cautela o diffidenza nei confronti di una fonte di cui si dovrà verificare l’attendibilità. Ma quale verifica di attendibilità? Aveva fatto catturare già 6 latitanti di spicco di Cosa nostra. Mai, mai nella storia.

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