Il Marocco è la nazionale più attesa della Coppa d’Africa dopo la semifinale ai Mondiali 2022 in Qatar, la prima assoluta per una nazionale araba e africana. In quei giorni inaspettati, ha dato voce a popoli e comunità inascoltate. Paesi anche lontani geograficamente, che condividono con Rabat un passato coloniale, si sono identificati con la squadra del ct Walid Regragui.

Le vittorie in serie contro Belgio, Spagna e Portogallo hanno riacceso la fiamma della speranza di un’Africa che, secondo Pelé, avrebbe vinto un Mondiale entro il 2000. Un’Africa che pure attraverso il calcio può mostrare ben più delle solite immagini di caos e povertà.

A distanza di poco più di un anno da quell’impresa il Marocco si augura di tradurre il lavoro svolto nell’ultimo decennio in un successo in Coppa d’Africa. Il titolo manca dal 1976. Mezzo secolo di astinenza è un tempo duro da digerire . È partita anche da qui la volontà della federazione di canalizzare l’enorme talento a disposizione verso un progetto strutturato.

Il reclutamento

La rete di scouting internazionale messa in piedi a partire dal 2014 ha dato i primi frutti con il trionfo nella Coppa d’Africa Under 23 dello scorso anno. Il lavoro di analisi di tutti i calciatori dai 12 anni in su permette al Marocco di accedere al meglio che la diaspora, soprattutto europea, può offrire. La formazione del talento avviene anche all’interno del Paese.

L’Accademia Mohamed VI, inaugurata nel 2009 dal re in persona dopo un investimento di 13 milioni di euro, è unica in Africa, al livello delle migliori scuole calcio del mondo. Tra i giocatori che compongono l’attuale rosa della nazionale, Youssef En-Nesyri del Siviglia, Nayef Aguerd del West Ham, Azzedine Ounahi dell’Olympique Marsiglia sono cresciuti nel centro di allenamento di Salé, vicino alla capitale Rabat.

Far incontrare questi due percorsi è la chiave del successo e non è un caso che sia stata la stessa persona, Nasser Larguet, a gestire i primi passi dell’accademia e a costruire le fondamenta della rete di osservatori. Il compito più difficile arriva ora.

Regragui ha affermato che non si può diventare grandi nel mondo senza aver prima conquistato il titolo continentale. Il ct è consapevole che il Marocco ha bisogno di scrollarsi di dosso le scorie della festa mondiale per trionfare in Coppa d’Africa e non relegare la semifinale in Qatar a un exploit occasionale.

Le pressioni

Il Marocco è pronto a sostenere questa pressione? Se si esclude l’inserimento di quattro nuovi elementi provenienti dall’Under 23, tra cui il centrocampista del Bologna Oussama El Azzouzi, il 2023 non ha lasciato indizi confortanti.

Tra la semifinale mondiale contro la Francia e il debutto di mercoledì 17 in Coppa d’Africa contro la Tanzania, il Marocco ha giocato sette partite, di cui solo due con in palio i tre punti. Nella prima ha perso 2-1 contro il Sudafrica. La seconda, un successo per 3-0 sulla Liberia, è stata giocata a qualificazione alla Coppa già ottenuta.

Il bilancio è di tre vittorie, una storica contro il Brasile in amichevole, tre pareggi e una sconfitta. Gli avversari incontrati hanno esposto le lacune tattiche del Marocco. I rivali di minor rango hanno chiaramente delegato ad Achraf Hakimi e compagni il possesso del pallone e l’etichetta di favoriti, un ruolo che il Marocco ha fatto spesso fatica a recitare.

Storicamente, inoltre, trionfare in Africa subsahariana è complicato per le nazionali del nord. Il clima umido e soffocante e il minor numero di tifosi al seguito rappresentano ostacoli quasi insormontabili. L’Egitto è l’unica eccezione, perché nel 2008 ha vinto in Ghana contro pronostico.

In definitiva, la sensazione che filtra dall’ambiente della nazionale marocchina è che un piazzamento tra le prime quattro potrebbe essere un risultato soddisfacente. Per quanto deleterio, gli occhi di tifosi e addetti ai lavori in Marocco sono già puntati all’edizione del 2025 che Rabat si è aggiudicata qualche mese fa. Tornare a vincere in casa propria non avrebbe prezzo.

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