Il 27 aprile, nel carcere di Bari, tre poliziotti penitenziari hanno picchiato un detenuto di 41 anni per circa quattro minuti, un soggetto fragile perché affetto da problemi psichiatrici. 

Calci e schiaffi in faccia, sui glutei, in testa, alla schiena, come dimostrano i fotogrammi, contro l’uomo che poco prima aveva appiccato il fuoco al materasso della cella di detenzione. 

Agenti arrestati e sospesi

La procura di Bari, dopo aver ricostruito l’accaduto grazie alle immagini del circuito di videosorveglianza, ha ottenuto gli arresti domiciliari per tre agenti della polizia penitenziaria, accusati del reato di tortura. «Il sovrintendente Coppi, coordinatore della sorveglianza generale, colpiva con numerosi schiaffi e calci il detenuto e, quando il detenuto cadeva sul pavimento per effetto della condotta tenuta dall’assistente Delia, lo calciava alla schiena per poi tenergli ferme le gambe mettendosi di peso sui piedi del recluso (...) l’assistente Finestrone sferrava diversi calci contro la schiena del detenuto e dall’alto verso il basso contro il fianco destro e sinistro», scrive il giudice Giuseppe Montemurro. 

Il detenuto assumeva la posizione fetale «in un disperato ma inutile tentativo di difendersi dai colpi ricevuti». 

L’inchiesta coinvolge in tutto quindici persone, sei sono state sospese dall’incarico e indagate per concorso in tortura perché presenti al momento delle violenze. Dopo le violenze, alcuni agenti hanno falsificato la relazione di servizio per coprire le violenze. Nell’inchiesta sono indagati anche tre infermieri e il medico di guardia che, pur consapevoli di quanto accaduto, hanno evitato di presentare denuncia e di riferirlo alla direzione del carcere o all’autorità giudiziaria. 

Nella diario clinico non c’è alcun riferimento alle violenze e alle percosse subite dal detenuto. 

I video svelano l’orrore

Il detenuto ha dichiarato, lo scorso 5 maggio, agli agenti che lo ascoltavano in sede di contestazione disciplinare che aveva subito, qualche giorno prima, una presunta aggressione. Così la direzione del carcere e la polizia penitenziaria delegata alle indagini interne hanno visionato i video del 27 aprile e hanno scoperto le condotte dei colleghi. 

«Appare chiaro che i poliziotti elencati negli atti e verbali prodotti, con i necessari distinguo tra le singole posizioni condotte, abbiano commesso atti di evidente rilievo penale che rilevano chiaramente la mancanza del senso dell'onore e morale degli attori oltre che di deontologia professionale», si legge nella comunicazione che il comandante della polizia penitenziaria di Bari, Maria Francesca De Musso, ha inviato, il 12 maggio, alla procura di Bari. Una comunicazione precisa e dettagliata che ha avviato l’inchiesta giudiziaria. 

«Dalle immagini delle videoriprese, acquisite di iniziativa dal direttore e dal comandante della polizia penitenziaria, si evincono le seguenti violenze gravi poste in essere dagli appartenenti al corpo della polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Bari», conclude il giudice che ha accolto solo una parte delle richieste della pubblica accusa. La procura aveva chiesto l’arresto in carcere per 4 indagati e i domiciliari per altri 5 indagati. 

Le reazioni

«Episodi come questi vanificano il sacrificio e infangano la straordinaria professionalità di 36 mila donne e uomini del corpo di polizia penitenziaria che quotidianamente assicurano la sicurezza nelle carceri del paese e costituiscono al tempo stesso l’ultimo baluardo di umanità nelle frontiere penitenziarie, connotate ancora da suicidi (74 detenuti e 4 operatori si sono tolti la vita nel 2022), violenze fisiche e morali, sovraffollamento, sofferenze e abbandono della politica», dice Gennario De Fazio che guida, per la Uil, il sindacato di settore. 

Ma c’è un altro elemento che prescinde dall’esito delle indagini sui fatti di Bari e riguarda la diffusione di inchieste in tutta Italia a carico di decine di agenti indagati per tortura. I sindacati mettono sul banco degli imputati la stessa configurazione del reato, mai gradito neanche ai partiti di governo, un reato che, in realtà, da quando è stato introdotto tardivamente nel nostro paese rappresenta uno strumento di contrasto alle violenze e ai pestaggi di stato.

«L’organizzazione carceraria è pessima, come peraltro dimostrano gli studi che lo stesso dipartimento dell’amministrazione penitenziaria conduce da tempo, senza venirne a capo, sulla revisione del modello custodiale e le continue aggressioni, cento al mese quelle gravi, perpetrate da detenuti in danno della Polizia penitenziaria», continua De Fazio che chiede un tavolo al nuovo ministro, Carlo Nordio, anche per discutere «di dotazione di body-cam per riprendere le operazioni di servizio della polizia penitenziaria, la quale in massima parte non ha nulla da nascondere».

Anche questa volta, come nel caso del pestaggio di Santa Maria Capua Vetere, le telecamere di sorveglianza hanno fatto la differenza insieme alla professionalità della catena di comando che ha prontamente denunciato i fatti senza colludere con gli agenti, oggi sotto indagine per tortura. 

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