Il caso del generale libico Najeem Osama Almasri, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità, torna ad agitare la politica. E rischia ancora una volta di creare un grosso problema al governo. Perché le ultime carte relative all’indagine in corso del tribunale dei ministri sulle omissioni nella gestione della cattura del torturatore di Tripoli danno un’indicazione chiara: il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha raccontato una storia al Parlamento con molti pezzi mancanti.

Di certo nelle prossime ore potrebbe decidersi il destino degli indagati eccellenti: archiviazione o un processo. Per la scarcerazione di Almasri, arrestato in Italia su mandato della Corte penale internazionale, sono indagati oltre a Nordio, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e la premier Giorgia Meloni. 

Le ultime novità sulla gestione del caso all’interno del ministero della Giustizia hanno riportato al centro la responsabilità principalmente di Nordio e della sua capo di gabinetto, Giusi Bartolozzi, che avrebbe avuto un ruolo cruciale.

«Noi lo avevamo detto subito che il governo Meloni nella vergognosa liberazione del torturatore libico Almasri aveva cercato in tutti i modi di imbrogliare le carte facendo il gioco delle tre scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano», ha detto Nicola Fratoianni di Avs  commentando l’evidenza che il ministero di via Arenula sapeva dell’arresto sin dai primi momenti. Ha poi aggiunto: «Ora pare che emergano ulteriori elementi dall’inchiesta giudiziaria: quando la principale collaboratrice del ministro della Giustizia invita ad utilizzare la massima segretezza e sistemi di comunicazione “riservati” che cosa si vuole nascondere di tanto imbarazzante, se non una violazione delle norme? Quando un ministro, come Nordio, viene in Parlamento e dice il falso, raccontando di essere stato informato con molto ritardo della vicenda mentre emerge che da almeno 24 ore e i suoi uffici brigavano per nascondere all’opinione pubblica la vicenda, cosa aspetta  la Presidente del Consiglio Meloni a farlo dimettere?».

Richiesta di dimissioni che arrivano da più parti. Anche dal Pd: «Non può rimanere nel proprio ruolo un secondo di più», commenta Debora Serracchiani, responsabile Giustizia della segreteria Pd. 

Così come Marco Grimaldi, di Avs: «È inaccettabile che un ministro travisi i fatti e inganni il Parlamento: chi mente deve assumersene la responsabilità e lasciare l'incarico». E pure dal Movimento 5 Stelle il coro è unanime: dimissioni. «Nordio non ha più alcuna credibilità e autorevolezza per rimanere al suo posto», dice il M5S.

Italia viva intanto ha chiesto un’informativa urgente. Con Matteo Renzi che ha rincarato la dose: «Giorgia Meloni ha mentito nel video da Palazzo Chigi e Carlo Nordio ha mentito al Parlamento. Non mi interessa la vicenda giudiziaria o l'avviso di garanzia: mi preoccupa un governo che mente all'opinione pubblica e alle Camere. Un governo che si fa ricattare dai torturatori libici. Un governo che si fa umiliare sulla scena internazionale come ieri a a Bengasi».

Riccardo Magi di +Europa ha rilanciato: «Il governo ha mentito agli italiani dicendo che non sapeva chi fosse quel cittadino libico. Palazzo Chigi non poteva non sapere e ha messo in pratica una colpevole corresponsabilità nel rilascio di quel macellaio, con tanto di accompagnamento a casa con aereo di Stato. Peraltro le accuse del tribunale dei ministri si aggiungono a quelle della Procura della Corte penale internazionale, secondo cui Nordio ha addirittura ostacolato l'attività della Corte. Il ministro della Giustizia non ha più alibi: faccia un passo indietro prima di infangare ancora di più le nostre istituzioni».  

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