Il vegetale sovvenzionato dallo stato ha perso fascino dopo che l’esercito ha iniziato a sparare sulla gente a Pechino. E nonostante il Quotidiano del Popolo raccomandasse il consumo del prodotto della nazione, i cittadini cinesi si sono rifiutati, lasciando andare a male mucchi di ortaggi in segno di protesta
- Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani, sullo sfogliatore online e in edicola
L’inverno del 1988, a Pechino, era forse l’ultimo inverno normale della capitale cinese. C’era nell’aria tutta la vivacità di quell’epoca, forse il momento della storia recente cinese in cui la Cina era al suo più libero, a livello intellettuale, culturale, e in parte politico, e in cui l’ebbrezza delle riforme economiche iniziate dieci anni prima facevano sembrare tutto possibile. Per questo quando cominciarono ad ammucchiarsi per le strade delle enormi piramidi di cavolo baicai, il grosso cavolo del nord della Cina, e a decine si mettevano in coda per acquistarlo, occhi poco esperti potevano pensare che le penurie alimentari fossero più comuni di quanto non apparisse, anche nella capitale: code di ore, per dei cavoli!
Errore di valutazione da principianti. Si trattava invece di un momento gioioso e carico di promesse: il grosso baicai bianco e verde, non a caso celebrato in arte e letteratura come se fosse una rosa, non è solo un alimento versatile per cucinare vari tipi di piatti quando è in stagione, ma è anche molto adatto ad essere conservato per i lunghi mesi invernali in cui, in particolare nel freddo nord, non cresce niente di fresco.
I grossi cespi di baicai si possono vedere infatti un po’ dappertutto infilzati sulle punte delle cancellate, o appesi alle finestre, o semplicemente appoggiati davanti alla soglia e rigirati in continuazione, in modo da seccare al sole asciutto dell’inverno. Quando è secco, si può tagliare a fettine e mettere sotto sale, per poi prepararlo in innumerevoli modi, che spesso richiedono le mani di tutta la famiglia, tramutandosi così in piccole feste domestiche.
Sovvenzioni pubbliche
Per quanto si fosse già entrati nell’èra delle privatizzazioni, il cavolo era ancora parte degli alimenti sovvenzionati, che venivano distribuiti a prezzi vantaggiosi alle unità di lavoro (ovvero, le istituzioni statali, che si occupavano dei loro dipendenti e delle loro famiglie in mille modi) e comprati ai contadini a prezzo politico, in modo da incentivarli a produrne grossi quantitativi. Insomma, una prelibatezza, per quanto sponsorizzata dal governo, a cui tutti volevano e potevano accedere, per garantirsi un inverno con almeno una verdura assicurata.
Nell’aprile del 1989 invece cambiò tutto: con la morte dell’ex Segretario generale del Partito comunista cinese, il 15 di quel mese, iniziarono le manifestazioni di Tienanmen, che andarono avanti fino al 4 giugno, quando l’esercito cinese le represse nel sangue, portando a un numero di morti a tutt’oggi inconoscibile – centinaia, forse migliaia di persone.
Hu era stato sollevato dal suo posto per aver sostenuto altre manifestazioni studentesche, nell’inverno del 1986-87, ed era stato destituito e messo in disparte. Gli studenti, grati del suo sostegno passato, indignati dal suo essere caduto in disgrazia, e addolorati dalla sua scomparsa prematura, cominciarono a marciare per le strade di Pechino chiedendo maggiore democrazia, la fine della corruzione, e maggiori riforme economiche (su questo, furono vittoriosi).
Dopo quasi sette settimane di manifestazioni ed occupazione di Piazza Tienanmen, però, l’esercito di Liberazione del popolo fece ingresso nella capitale – uccidendo, e sconvolgendo la popolazione.
Uno dei motivi per i quali le vittime furono così numerose fu proprio l’incredulità: «L’esercito del Popolo non può sparare contro il popolo!» ripetevano in tanti, andando verso i soldati. Quando invece le persone furono costrette ad accettare la realtà, iniziarono in tutta Pechino dei falò, in cui venivano buttati gli indumenti che indossavano tutti all’epoca, che era surplus militare: cappotti, camice bianche, pantaloni di cotone verdi, giacche “alla Mao” e scarpe da ginnastica verdi anche quelle (furono risparmiate le cose in blu, perché quelle erano della Marina, che non era intervenuta). Pian piano, la città sottosopra ritornò come prima, e i pechinesi seppellirono nel loro cuore lo sdegno e il dolore ancora vivi.
Mancanza di domanda
Poi, con ancora la legge marziale in città, tornò la stagione del baicai. Che si accumulò in enormi piramidi per le strade, pronto ad essere acquistato golosamente e messo a seccare per l’inverno. Invece, nell’autunno del 1989 nessuno voleva acquistarlo: i pechinesi erano pronti a rinunciare a qualcosa di così importante per la loro dieta e per le loro tradizioni perché era uno dei pochi gesti che potevano fare per esprimere il loro dissenso nei confronti del governo, senza per questo rischiare la prigione.
Non si formarono code davanti ai mucchi di cavoli, che dopo un po’ cominciarono a emettere un odore un po’ spiacevole. Così ammucchiati cominciavano ad andare a male, e le autorità locali si ritrovarono con un problema inedito fra le mani. Allora, il Quotidiano del Popolo stampò un bell’editoriale in cui incitava a comprare i cavoli, chiamandoli patriottici. Aiguo baicai. I cavoli cresciuti dai contadini della nazione, con il sudore della loro fronte. I cavoli sovvenzionati dal governo del popolo. Ma il popolo, chiamato a raccolta in modo così surreale intorno ai cavoli, dalle pagine del giornale più istituzionale di tutti, fece orecchie da mercante e lasciò lì tanto i cavoli che il loro patriottismo.
Da innumerevoli bacheche, all’interno delle unità di lavoro e anche per la strada, l’editoriale dal titolo rosso se ne stava lì, a parlare di cavoli patriottici, ma i cavoli restavano senza acquirenti. Furono dunque chiamate ad agire le unità di lavoro stesse, comprese quelle universitarie, che dovettero acquistare cavolo dai punti vendita per le strade, a carrettate.
Mentre i pechinesi mettevano altri ingredienti all’interno dei ravioli e delle zuppe, e saltavano altre verdure nei loro wok, nelle mense non c’era modo di sfuggire al cavolo patriottico, che, dalle fabbriche agli asili, passando per le redazioni dei giornali (fra cui il Quotidiano del Popolo stesso) e le università, tutti mangiarono cavolo fino allo sfinimento.
A quel tempo, il patriottismo, specialmente dei baicai, non aveva una grossa presa sulla popolazione. Fu il progetto politico nato subito dopo, letteralmente dalle ceneri di Tienanmen, che fece si che da allora, e fino ad oggi, patriottismo e nazionalismo diventassero le linee guida dell’educazione, della propaganda, e della Cina.
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