Chiara Ferragni è riapparsa sui social dopo diversi giorni di silenzio pubblicando un’intervista rilasciata al Corriere della Sera lo scorso 20 febbraio ma apparsa sul giornale del 24 febbraio.

Durante l’intervista Ferragni ha affrontato il caso del pandoro “Ferragni” della Balocco per la quale è indagata dalla procura di Milano per truffa aggravata.

«Ci siamo resi conto che alcuni processi di analisi interna avrebbero potuto essere gestiti meglio. E stiamo lavorando per migliorare alcuni profili organizzativi», ha detto ammettendo quello che per lei è stato un errore di comunicazione. Tuttavia, aggiunge, «nel cartiglio e nei miei post abbiamo sempre scritto e detto che “Chiara Ferragni e Balocco sostengono l’ospedale”, mai che una percentuale delle vendite sarebbe andata in beneficenza».

L’influencer ha ammesso di aver sofferto molto il giudizio sui social nei giorni in cui si sono diffuse le notizie delle indagini a suo carico. «Quando sei dentro una gogna mediatica, ti sembra che tutte le persone ti stiano accusando, invece, basta uscire un attimo di casa per accorgerti che non è così», ha detto. «Cerco il mio nome perché vorrei il controllo su tutto e per avere il polso di quello che si dice su di me, anche se poi mi deprimo di più e mi sento meno forte di prima», ha aggiunto Ferragni affermando di leggere tante «fake news» online sul suo conto.

Sul video e le accuse della procura

«Da tre giorni, leggevo cose completamente false, tipo che avevo truffato i consumatori e perfino i bambini malati. Ero veramente scossa e dopo varie prove ho postato il video e facevo del mio meglio per trattenere le lacrime perché non volevo fare la vittima. Mi sono detta: la gente si aspetta qualcosa da me. Dovevo scusarmi, perché, se ci sono stati dei fraintendimenti, vuol dire che qualcosa poteva essere fatto meglio. Ho detto anche che non avrei fatto mai più operazioni che mischiassero pubblicità e beneficenza», ha detto l’influencer milanese.

Sulle accuse della procura: «Non comprendo come si possa dire che ci sia stato un disegno criminoso: perché, se così fosse, la maggior parte del fatturato dovrebbe dipendere da queste attività»

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