Dicono le mappe che se qualcuno volesse mettersi in macchina e andare da Verona a Reykjavik dovrebbe percorrere quasi quattromila chilometri, fare una tratta in traghetto, impiegarci poco meno di quattro giorni e trovarsi poi con un fuso orario diverso.

Per fortuna ci sono mezzi di trasporto più rapidi per far viaggiare il cibo di qualità da un punto all'altro di questo viaggio ipotetico. Ora la domanda è: chi mai penserà di spedire il cibo da Verona in Islanda? Qualcuno c'è, di mestiere fa il calciatore, ma ha la passione per il buon cibo e uno spiccato senso imprenditoriale.

Emil Hallfredsson è un centrocampista di grande fisico, ha anche ndossato la fascia di capitano della nazionale islandese, ma è in Italia che ha costruito gran parte della sua carriera da calciatore, arrivando nel 2007 alla Reggina e poi vestendo le maglie di Verona, Udinese, Frosinone, Padova.

In totale 178 presenze in serie A e una carriera che ancora non è terminata perché Hallfredsson, innamorato in particolare di Verona, ha accettato di ritornarci a ottobre del 2021, ma nella Virtus, la squadra scaligera che gioca in serie C. Una scelta di vita per chi ha scelto di mettere il calcio al centro, ma anche sé stesso e la sua famiglia. Per chi ama l'Italia al punto da portarne un pezzo fuori.

Il marchio di famiglia

Girando l'Italia per il pallone, Hallfredsson ha assorbito la mentalità del paese, ammirato le abitudini, approfondito la conoscenza della lingua e, più ancora, apprezzato il cibo. E lui e sua moglie Ása María Reginsdóttir, a un certo punto, si sono posti una domanda: se gli italiani mangiano così bene, perché non insegnarlo agli islandesi?

Un dialogo è diventato una suggestione, una battuta ha dato il via allo sbarco sul mercato: «L'idea – spiega Hallfredsson - è venuta a mia moglie. Lei ha da subito lasciato tutto per seguirmi, in ogni città andassi a giocare, e d'estate, quando tornavamo in Islanda, tutte le volte che mangiavamo da qualche parte mi diceva: “Mancano i buoni prodotti, manca l'olio, mancano tante cose che noi conosciamo”. Allora abbiamo pensato di farle conoscere anche agli altri».

Da quel momento il cibo italiano prende il volo, regolarmente, e finisce nelle mani della gente di Reykjavik e dintorni, che tra gli scaffali deve solo individuare quello che è un marchio di famiglia.

Lo hanno chiamato “Olifa”, si presenta in tutte le forme, dal barattolo alla bottiglia. Export di bontà: «Portiamo prodotti italiani di qualità in Islanda – spiega Hallfreddson -, li vendiamo ai supermercati. Parliamo di più di cento prodotti diversi, dall'olio alle spezie, dalle olive al passato di pomodoro, fino al vino, alla pasta. Quello che a noi piace mangiare, quello che abbiamo scoperto in questi anni in cui siamo stati in Italia: dal sud al nord, ogni prodotto con la sua zona migliore. Abbiamo dei nostri ulivi a Verona e fornitori ovunque, soprattutto in Puglia».

Lezioni di cibo

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Il lavoro non è solo portare in Islanda dalla 'nduja al miele d'arancio, ma fare in modo che la qualità non vada sprecata da un utilizzo disinvolto dei prodotti. Come accade nel calcio, Hallfredsson e la moglie a un certo punto hanno pensato che servisse l'allenamento per evitare che i finlandesi portassero a tavola roba presa dagli scaffali del supermercato senza saperne bene che fare.

Non potendo mandare un tutor a casa di ogni persona che tornava a casa con una confezione di qualcosa di “Olifa”, hanno sfruttato la rete, i social, con una specie di opera di divulgazione: «Ma anche qui – dice Hallfredsson - è stata soprattutto mia moglie, che è abile nell'utilizzo dei social ed è molto seguita su Instagram: ha iniziato a postare video in cui si riprende mentre cucina, mostra come usare i prodotti, spiega soprattutto agli islandesi come preparare e sfruttare nel modo migliore quello che con il nostro marchio vendiamo».

Hallfredsson, da chi gioca con lui, è chiamato “Ghiaccio bollente” e il motivo sembra fin troppo chiaro: l'ossimoro mette in contrapposizione le origini fredde nella terra dei ghiacci e il suo temperamento in campo, quando si tratta di lottare per difendere un risultato o, finita la partita, quando con lo stesso trasporto parla di cibo: «A noi mangiare italiano piace tantissimo. Certo, la mia alimentazione da calciatore è fatta soprattutto di pasti molto semplici, ma mi piacciono anche quelli. E comunque il giorno prima della partita, quando con tutta la squadra mangiamo insieme, porto il mio olio per tutti».

Mangiare la pizza a Reykjavik

Poi a un certo punto Emil e Ása si sono accorti che nei barattoli non entrava la pizza, e che soprattutto non era possibile farla arrivare calda in Islanda, preparandola in Italia. E puoi decantare il cibo italiano in Islanda (o ovunque, in fin dei conti) ignorando la pizza? Così, in estate hanno scoperto l'insegna di “Olifa – La madre pizza”, una pizzeria alla pala proprio a Reykjavik: «Abbiamo portato un altro prodotto nuovo – racconta Hallfredsson -: la gente islandese non sapeva cosa fosse la pizza alla pala e noi abbiamo aperto un locale da ottanta posti, con due pizzaioli di Vicenza che preparano nel modo migliore. E un supermercato con il quale abbiamo già ottimi rapporti commerciali ci ha chiesto di aprire un corner all'interno e abbiamo accettato. Sta andando bene, siamo contenti. Anche perché portare un po' di Italia era quello che volevamo, un po' pure per gratitudine nei confronti del paese che da anni ci ospita con tanto calore, nel quale sono nati e studiano i nostri due figli di undici e sette anni, dove ho passato quasi metà della mia vita».

Gli affari non sostituiscono il calcio, che ancora, a trentotto anni, è la missione principale: «Gioco finché ho forza e mi diverto. E mi diverto anche con gli affari. Non so se ingrandiremo Olifa, forse no, forse sì, forse con calma, forse proveremo a portare i nostri prodotti nei supermercati italiani, ma nel caso sarà fatto tutto un passo per volta. Come nel calcio, quando si vuole ottenere un grande risultato, bisogna farlo partita per partita».

La metafora che mette calcio e Olifa insieme non è casuale: «Perché anche quando smetterò di giocare vorrei restare ancora in Italia, ancora nel calcio. Dedicandomi anche al resto. Il cibo da esportare, la pizzeria in Islanda, mi aiutano a staccare e non pensare sempre al pallone. Ma il pallone resta il mio obiettivo principale». Lo spazio per far mangiare bene gli altri rimane quelli fuori dallo spogliatoio.

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