«Il contratto nazionale dei lavoratori delle sale cinematografiche è scaduto da quattro anni, migliaia di lavoratori sono in una situazione di grande incertezza», racconta Sabina Di Marco, segretaria nazionale responsabile per l’area produzione dei contenuti culturali della Cgil

Negli ultimi anni, il settore cinematografico ha vissuto una trasformazione profonda, segnata da una crisi che ha portato alla chiusura di molte sale. Il periodo pandemico ha contribuito all’arresto del settore, che a partire dal 2021 ha ripreso lentamente a crescere. Tuttavia, il numero di sale chiuse resta elevato.

Qualche mese fa attori, attrici e personalità del mondo dello spettacolo si sono mobilitati per impedire che i cinema dismessi di Roma venissero trasformati in hotel di lusso o centri commerciali. Per diversi mesi, una parte consistente della cittadinanza ha manifestato un forte interesse per la questione. Sono nati eventi, rassegne e incontri dedicati alla tutela e alla valorizzazione di questo patrimonio culturale.

Ma mentre si discuteva questa crisi strutturale, ci si è dimenticati di menzionare quella che riguarda la condizione dei lavoratori impiegati nelle sale.

Cosa chiedono i lavoratori

Da mesi è in corso una trattativa per il rinnovo del loro contratto collettivo. «Tutte le assemblee sul territorio si sono espresse contro le proposte avanzate. Se vinceranno i no, speriamo che l'Anec (Associazione nazionale esercenti cinema) sia abbastanza intelligente da tornare al tavolo delle trattative», spiega di Marco.

Tra le prime richieste sindacali c’era la stabilizzazione dei lavoratori e la promozione di attività di formazione. La contrattazione ha messo in evidenza un impoverimento di questo lavoro. «Molte persone si licenziano perché si sentono merce usa e getta. Non è un mestiere che garantisce un salario che faccia sopravvivere. Spesso part time e quasi sempre a tempo determinato con il rischio di non veder rinnovato il contratto. E poi fanno di tutto. Dal riordino allo sbigliettamento», prosegue la sindacalista.

Durante l’ultimo rinnovo contrattuale, le aziende hanno cercato di scaricare ulteriori responsabilità sui lavoratori, tra cui la pulizia delle sale e dei bagni, che prima era affidata a personale specializzato. «I datori di lavoro hanno chiesto di eliminare l'esternalizzazione delle pulizie, perché rappresenta un costo ulteriore, per farle fare ai lavoratori diretti che così passano dal dare pop corn a pulire i bagni», sottolinea Di Marco.

Sindacati in disaccordo

Uil e Cisl, pur riconoscendo le difficoltà del lungo processo di negoziazione, hanno deciso di firmare la bozza del rinnovo contrattuale, convinti di aver ottenuto il miglior risultato possibile nelle attuali circostanze. Le due sigle sindacali hanno sottolineato che il contratto rappresenta un passo importante per evitare il protrarsi della precarietà e garantire un miglioramento delle condizioni lavorative nel settore cinematografico. Entrambe le organizzazioni ritengono che la firma del contratto sia essenziale per dare un segnale di responsabilità verso i lavoratori, evitando il rischio di bloccare ulteriormente gli avanzamenti salariali e mettendo a rischio le anticipazioni economiche già erogate.

La Cgil non è d’accordo. Secondo il sindacato il contratto aumenta la precarietà e legittima l'estensione dell'applicazione del contratto intermittente a fasce di età che la legge non prevede. La richiesta ora è di riaprire il tavolo delle trattative per garantire condizioni di lavoro dignitose. «Se non si investe in accoglienza e qualità, il pubblico se ne accorge. E la gente che lavora nelle sale è fondamentale per questo», dice Sabina di Marco.

La testimonianza

Secondo Sofia (nome di fantasia) che lavora in un grande multisala dal 2007, tutto è cambiato dopo la pandemia: «Prima eravamo il volto del cinema, il primo punto di contatto con il pubblico. Molti spettatori si fermavano a chiedere consigli o semplicemente a scambiare due chiacchiere con noi».

Dopo il Covid il settore è stato duramente colpito dalle chiusure e l’organizzazione del lavoro si è trasformata radicalmente. «Le casse tradizionali sono state sostituite da macchine automatiche. Il nostro ruolo è cambiato: ora dobbiamo concentrarci sulla vendita di prodotti al bar, sul merchandising e su altre attività commerciali. Il nostro lavoro è diventato sempre più stressante e meno gratificante», racconta.

«Tutto questo senza un adeguato riconoscimento economico e senza considerare l’esperienza che abbiamo accumulato negli anni», denuncia Sofia. «Chiediamo un salario minimo garantito equiparato a quello di altri lavoratori con contratti simili. Vorremmo che la domenica fosse riconosciuta come giorno festivo e una paga base oraria adeguata al costo della vita».

I lavoratori del settore cinematografico sacrificano il proprio tempo, anche durante festività come Natale e Pasqua, per garantire un servizio al pubblico. «Siamo il passato di questo settore, ma stiamo lottando per il suo futuro. Vogliamo che il cinema torni ad essere un luogo di passione e professionalità riconosciute», conclude Sofia.

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