Oggi la Corte costituzionale inizia a discutere sull’ammissibilità dei referendum su cannabis, giustizia ed eutanasia. Si tratta di una valutazione tecnica sul contenuto dei quesiti, in cui la Corte valuta se – per come sono scritti – i quesiti rispettino i limiti previsti dalla Costituzione e dalla giurisprudenza costituzionale. La decisione dovrebbe arrivare oggi o al più tardi domani.

Nel caso di questi referendum abrogativi, la valutazione riguarderà in particolare se la cancellazione delle norme crei o meno una lacuna normativa non ammissibile.

Nei giorni precedenti, il neo-presidente della Consulta, Giuliano Amato, aveva detto in una riunione con gli assistenti di studio che «davanti ai quesiti referendari ci si può porre in due modi: o cercare qualunque pelo nell'uovo per buttarli nel cestino oppure cercare di vedere se ci sono ragionevoli argomenti per dichiarare ammissibili referendum che pure hanno qualche difetto. Noi dobbiamo lavorare al massimo in questa seconda direzione, perché il nostro punto di partenza è consentire, il più possibile, il voto popolare».

L’indicazione ha prodotto una serie di reazioni politiche di apprezzamento da parte dei comitati referendari e dei partiti politici che hanno spinto la raccolta firme, ma rischiano anche di condizionare la valutazione dei giudici.

Fonti della Consulta ritengono infatti che tutti e tre i referendum sarebbero inammissibili. Se questo fosse l’esito, le conseguenze politiche sarebbero rilevanti, vista anche la grande spinta referendaria e la raccolta firme che ha prodotto, anche grazie all’utilizzo dello spid e della firma digitale, un’enorme mobilitazione.

Giustizia

Il referendum sulla giustizia è stato promosso dalla inusuale convergenza tra Radicali e Lega. I quesiti sono sei e riguardano la magistratura, la legge Severino e la custodia cautelare in carcere. 

Il primo quesito riguarda l’eliminazione delle firme per candidarsi al Consiglio superiore della magistratura. La ragione è che, secondo i proponenti, la raccolta di firme obbliga necessariamente il candidato a venire a patto con i gruppi associativi. In realtà questo quesito potrebbe venire superato, perché l’eliminazione delle firme è già prevista dalla riforma dell’ordinamento giudiziario che ha avuto il via libera dl Consiglio dei ministri e che ora è in discussione alla Camera.

Il secondo riguarda la responsabilità diretta dei magistrati, abrogando una parte della legge n.117 del 1988, negli articoli un cui prevede che il magistrato non possa essere chiamato direttamente in causa in un giudizio civile.

Il terzo riguarda l’equa valutazione dei magistrati, prevedendo che la componente laica dei Consigli giudiziari, composta da avvocati e professori universitari, possa votare. Anche questo è stato previsto dalla riforma dell’ordinamento giudiziario.

Il quarto riguarda la separazione delle carriere tra magistrati requirenti e giudicanti. Secondo i proponenti, questo crea contiguità tra figure e rischia di generare un corporativismo incompatibile con il principio della terzietà del giudice.

Il quinto è sui limiti della custodia cautelare in carcere, che dovrebbe essere limitata a specifici casi quando viene disposta prima della sentenza.

Il sesto abroga la legge Severino, nella parte in cui prevede che, in caso di condanna anche solo di primo grado per alcune specifiche ipotesi di reato – in particolare quelle contro la pubblica amministrazione – scatti immediatamente anche la sanzione accessoria dell’incandidabilità alla carica di parlamentare, consigliere e governatore regionale, sindaco e amministratore locale. La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici verrebbe eventualmente irrogata dal giudice al momento della sentenza.

Il caso di questo referendum è peculiare: secondo la Lega le firme raccolte sarebbero più di 4 milioni, circa 700mila per ognuno dei sei quesiti. Tuttavia, si è preferito non sottoporle al vaglio della Cassazione e scegliere la strada sicura – per quanto la meno utilizzata – delle delibere regionali.

Questo significa che il partito non rientrerà delle spese sostenute per la raccolta firme (anche se da dividere insieme alla Lega), che sono ulteriormente lievitate perché nelle ultime settimane è stata attivata anche la firma digitale con lo Spid, con cui si sono raccolte 18mila sottoscrizioni al costo di circa un euro l’una. Inoltre, non gli spetterà nemmeno lo spazio riservato per legge sui media per promuovere il referendum.

Cannabis

Si tratta del referendum per cui lo Spid è stato fondamentale: c’è stato un boom di adesioni e in meno di una settimana sono state raccolte le 500mila firme necessarie per la presentazione.

Il referendum propone di depenalizzare la coltivazione della cannabis e di eliminare la pena detentiva per qualsiasi condotta illecita relativa alla cannabis. Sul piano amministrativo, propone invece di eliminare la sospensione della patente «destinata a tutte le condotte finalizzate all’uso personale di qualsiasi sostanza stupefacente». Non vengono modificate, invece, le norme penali nel caso di cessione e vendita.

Parallelamente, è presente alla camera un disegno di legge che modifica lo stesso testo unico riducendo la restrittività delle norme sull’uso personale della cannabis.

Eutanasia

Il referendum sul fine vita è stato promosso dall’associazione Luca Coscioni e prevede l’abrogazione parziale del reato di omicidio di persona consenziente, di cui rimarrebbe in piedi solo il caso di omicidio di soggetto consenziente ma minore di età, infermo di mente o se il consenso è stato estorto con violenza, minaccia o inganno.

Anche in questo caso, la raccolta di firme anche con lo Spid ha permesso il grandissimo afflusso di sottoscrizioni, che hanno raggiunto quota 1,2 milioni.

Parallelamente esiste un disegno di legge alla Camera, che recepisce la cosiddetta sentenza Cappato, la decisione della Corte costituzionale che ha previsto i casi in cui è possibile ricorrere al suicidio assistito. Tuttavia, la Lega si sta apertamente opponendo al ddl, che ora è fermo.

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