L’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha deciso di opporre il silenzio stampa e non vuole commentare la notizia pubblicata da Domani sulla riunione segreta del Comitato tecnico scientifico del 2 marzo 2020, in cui per la prima volta sono emersi i «dati preoccupanti» sul contagio nella bergamasca e durante la quale i consulenti tecnici del governo hanno espresso l’esigenza di cinturare l’area di Alzano Lombardo e Nembro in una zona rossa.

Eppure, il contenuto di quel verbale appare sempre più rilevante, non solo perché Conte parla di «costo politico» nel creare nuove zone rosse, ma anche indica uno scarto temporale di tre giorni rispetto alla data, il 5 marzo, in cui l’ex premier ha dichiarato ai pm bergamaschi di essere venuto a conoscenza della situazione epidemiologica in provincia di Bergamo e della richiesta di zona rossa, come da verbale del Cts del 3 marzo.

Durante la riunione del 2 marzo, che sarebbe dovuta restare riservata, era presente anche il ministro della Salute Roberto Speranza, che ha sempre dichiarato pubblicamente di essere venuto a conoscenza della richiesta di una zona rossa in Val Seriana non prima del 3 marzo 2020 e di aver chiesto all’indomani, il giorno 4, al presidente dell’Iss Silvio Brusaferro, una «relazione più strutturata» (lo racconta Speranza nel libro ritirato dal commercio). Eppure anche Speranza era stato informato già il 2 di marzo, ma non ne ha mai fatto menzione in pubblico.

Il Dpcm fantasma

Conte quel giorno «decide di rifletterci». Speranza cosa decide di fare? Quello che sappiamo è che il 4 marzo il ministro va a Milano per incontrare la giunta Fontana che governa la Lombardia. Viene impostata una bozza di Dpcm per chiudere la Val Seriana o le informazioni ricevute dal Cts non erano abbastanza allarmanti? Abbiamo provato a contattare il ministro Speranza, senza successo.

Siamo però riusciti a parlare con un membro del Cts, che era presente alla riunione pomeridiana e riservata del 2 marzo e che preferisce restare anonimo. «Noi abbiamo sempre consigliato di fare le chiusure opportune, il nostro compito è stato sempre quello di analizzare i dati e dare dei consigli in conseguenza dei dati, poi la decisione è sempre stata politica, ma credo che focalizzarsi su una decisione che si è articolata in alcuni giorni, non in 20 anni, sia un modo distorto di vedere le cose».

La scelta, dunque, è sempre stata politica e anche Conte in quella riunione del 2 marzo ha ben presente il «costo politico» che potrebbe avere chiudere una zona come la Val Seriana. Meglio aspettare.

La causa civile

Oggi, però, il contenuto del verbale di quella riunione ristretta potrebbe aggiungere un tassello importante alla causa civile iniziata lo scorso 23 dicembre, quando è stato notificato dai parenti di 500 vittime di Covid-19 l’atto di citazione a ministero della Salute, presidenza del Consiglio e regione Lombardia.

«Abbiamo rilevato violazioni di legge nazionali e internazionali – spiega la responsabile del team legale, l’avvocata bergamasca Consuelo Locati – rispetto al mancato adeguamento del piano pandemico del 2006, al mancato recepimento del regolamento sanitario internazionale e alla mancata comunicazione del rischio alla salute ai cittadini da parte delle istituzioni, che sapevano tutto a partire da gennaio 2020. La notizia del verbale della riunione del Cts del 2 marzo 2020 verrà riversata nel procedimento civile: sapevano che questo virus era come la peste, eppure la cittadinanza, soprattutto in provincia di Bergamo, non è stata informata della gravità del rischio» .

Secondo Locati, il verbale chiarisce che «è stata una scelta voluta e che il ritardo di 15 giorni (dallo scoppio del focolaio di Alzano il 23 febbraio 2020, ndr) ha contribuito alla diffusione del virus e alla strage nella bergamasca».

Il procedimento civile, che si aprirà a Roma con la prima udienza fissata per il 14 aprile, non è una class action, perché, spiega Locati, «ogni defunto ha la propria storia personale e ogni parente che agisce fino al secondo grado di parentela chiederà il proprio danno individuale, ovvero un risarcimento che va dai 110 ai 310mila euro a persona, per un ammontare complessivo che si aggira intorno ai 200 milioni di euro».

A oggi, le controparti, ovvero ministero della Salute, presidenza del Consiglio e regione Lombardia, non si sono ancora costituite in giudizio.

«Il termine – dice Locati – scadeva il 25 marzo, noi oggi non abbiamo contezza che sia stato depositato nulla. Hanno tempo di costituirsi in giudizio fino al giorno prima dell’udienza, se non lo dovessero fare non potranno difendersi, in assenza di contestazioni risulterebbe tutto provato».

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