Il primario dell’ospedale pubblico beccato con le banconote ancora in mano, dopo l’incontro con l’imprenditore della clinica privata “amica”. Il consigliere regionale pronto a fare pressioni per i finanziamenti a una struttura sanitaria che avrebbe garantito l’assunzione della figlia. Il politico e dirigente dell’Asl disposto a pilotare gare e concorsi in cambio di consensi. 

Al centro delle storie, emerse dopo le inchieste delle procure di Roma, Latina e Velletri, c’è un minimo comune denominatore: gli interessi personali che più volte hanno sovrastato quelli che gli indagati, nella loro qualità di pubblici ufficiali, avrebbero dovuto tutelare. Si tratta degli interessi dei più fragili, dei malati e dei loro familiari: trattati come merce, merce di scambio, a leggere gli atti giudiziari. 

«Tanto a noi de ’na paziente che ce ne frega», le parole di una dottoressa intercettata nell’indagine che ha portato all’arresto del luminare di Nefrologia Roberto Palumbo. Dalla corruzione, passando alla gestione opaca degli appalti, fino alla truffa, le contestazioni mosse dai pubblici ministeri cambiano a seconda del caso di specie. A non cambiare, invece, sembra essere la gestione della cosa pubblica, trattata come privata, come bene personalissimo. 

«Sei il deus ex machina della sanità pontina», afferma un medico registrato dagli investigatori. Il dottore si riferisce a Enrico Tiero, il consigliere regionale di Fratelli d’Italia arrestato perché, tra le altre cose, si sarebbe interessato all’aumento dei posti letto di un ospedale accreditato del gruppo Giomi, ottenendo un contratto di lavoro a tempo indeterminato per la figlia. E poi l’altro meloniano, Matteo Orciuoli, ex direttore Affari generali dell’Asl Roma 6, indagato dalla procura di Velletri per i già citati concorsi banditi nella stessa azienda sanitaria. A un certo punto il politico, come si legge nelle carte, tranquillizza una candidata preoccupata di eventuali domande in lingua inglese. «Sti cazzi – dice Orciuoli – tanto ti diranno “How are you?” e tu dirai “Fine, thanks”». 

Caso Calabria

Ma non c’è solo il Lazio. Le inchieste sulla gestione piena di ombre della sanità riguarda anche altre regioni italiane. C’è il caso Calabria, per esempio. A luglio scorso la notizia di perquisizioni e acquisizioni di atti nella Cittadella di Germaneto, a Catanzaro: sotto la lente dei finanzieri anche documenti e provvedimenti riguardanti il comparto sanità, manager e dirigenti di primissimo livello legati al governatore forzista Roberto Occhiuto, indagato per corruzione in un altro filone investigativo dalla procura del capoluogo calabrese.

Del resto gli inquirenti la scorsa estate avevano segnalato la «rilevante crescita del giro d’affari» di un fedelissimo dell’azzurro, Antonino Daffinà. Un «giro d’affari» riconducibile «ai rapporti professionali e commerciali (...) avviati (da Daffinà, ndr) con talune imprese operanti in Calabria nel settore sanitario».

«Plurime sono le evidenze – si legge negli atti dei pm – dell’interessamento di Daffinà in favore della Dialisi San Giorgio srl, dirette a garantire alla società l’adozione di un provvedimento di accreditamento con il servizio sanitario regionale a seguire di richieste da lui avanzate dai titolari della srl».

Motivo per cui lo stesso Daffinà si relaziona «con Tommaso Calabrò (dg del dipartimento regionale salute, ndr), con Gandolfo Miserendino (a capo di Azienda Zero, ndr) e con Iole Fantozzi, sub commissario per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del servizio sanitario in regione». E lo fa, secondo l’accusa, «per favorire la srl dalla cui controllante ha ricevuto dal 2022 e anche attraverso le due società a lui di fatto riconducibili oltre 210mila euro per prestazioni di servizi». Daffinà ha dunque usato «la propria influenza sui vertici della regione al fine» di favorire la società “amica”. Un’inchiesta, quest’ultima, di cui si attendono sviluppi. 

Sull’isola

E poi si arriva fino alla Sicilia: anche qui un virus sembra aver attaccato la sanità. Al centro delle indagini che hanno portato ai domiciliari Salvatore Cuffaro, meglio conosciuto come Totò “vasa vasa”, ci sono le nomine di commissari e dirigenti delle aziende sanitarie locali, ma anche concorsi telecomandati e appalti a comando. «Cuffaro era l'artefice delle trame che intesse il sodalizio con pubblici funzionari, politici, imprenditori, era al vertice di tale struttura», scrive la giudice Carmen Salustro nelle carte. 

In particolare, le vicende principali dell’inchiesta siciliana riguardano l’assegnazione di una gara, bandita dall’azienda sanitaria di Siracusa per il servizio di ausiliarato e reception. Lo schema è semplice. Il funzionario pubblico, sponsorizzato da Cuffaro, indirizzava l’appalto in favore di una ditta amica. In cambio l’azienda garantiva la promessa di assunzioni, contratti, subappalti e altri vantaggi patrimoniali. Sembra una storia già sentita. Eppure ancora attuale.

Giù al Nord

A Milano, invece, nelle ultime ore è scoppiato il caso San Raffaele, l’ospedale privato convenzionato, appartenente al gruppo San Donato. Non è un caso di corruzione o di nomine. Si tratta piuttosto di un fenomeno altrettanto diffuso: l’esternalizzazione degli infermieri, i camici a gettone forniti dalle cooperative. Ma anche su questo presto la procura guidata da Marcello Viola potrebbe aprire un fascicolo d’indagine dopo i fatti avvenuti tra il 5 e il 7 dicembre scorsi, quando si è scatenato il caos in uno dei reparti dell’hub: infermieri alla prima esperienza di lavoro, personale non in grado di somministrare le giuste dosi di farmaco ai pazienti, operatori socio-sanitari incapaci di ritirare determinati medicinali dagli scaffali. 

Tutti fatti che si sono verificati «nella prima giornata di presa in carico del servizio da parte di una cooperativa che ha già determinato situazioni di elevatissimo rischio per i pazienti». 

Sulla vicenda c’è già una denuncia, insieme a un esposto presentato dalle rappresentanze sindacali: in questo caso a venire segnalata è una stortura diversa da quella che è alla base delle inchieste sulla sanità in corso nel resto del Paese. Si tratta, come detto, dell’esternalizzazione del personale sanitario, dei medici e degli infermieri gettonisti che, come spiega la referente della rappresentanza sindacale interna al san Raffaele Margherita Napoletano, è un «fenomeno che non garantisce la continuità delle cure». 

A Milano per questo caso si è acceso un vero scontro politico. Un botta e risposta che sullo sfondo ha i pazienti, nelle mani di chi, come emerso dall’ordinanza sul nefrologo Palumbo, è pronto ad affermare parole di questo tipo. «Se se trova male, è un problema suo». 

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