Massimo Giletti aveva in programma di mandare in onda alcuni audio di deposizioni del mafioso, Giuseppe Graviano, e di pentiti che parlavano di Silvio Berlusconi, materiale agli atti del processo ‘ndrangheta stragista istruito dalla procura antimafia di Reggio Calabria. Registrazioni di cui hai parlato sul Quotidiano del Sud il giornalista Paolo Orofino. 

In particolare l’attenzione si era concentrata su due tracce che Domani può rivelare. Tracce che riportano di attualità il filone sul quale la trasmissione stava provando a fare luce, quello che incrocia l’ex primo ministro, i fratelli Graviano e il generale, Francesco Delfino.

Nomi che sono i protagonisti della foto dei misteri, quella che ha provocato la rottura dei rapporti tra Salvatore Baiardo, pregiudicato per favoreggiamento degli stragisti Graviano, e Giletti.

L’esistenza di questa foto resta ancora un giallo, come ha raccontato Domani nella serie di articoli pubblicati nei giorni scorsi. Baiardo avrebbe mostrato lo scatto, che potrebbe essere la prova di un patto sporco, al conduttore senza rilasciargli copia.

Così Giletti ha raccontato tutto ai magistrati di Firenze che indagano sui mandanti esterni alle stragi sul continente del 1993, inchiesta che vede indagati Berlusconi e il fido, Marcello Dell’Utri, per concorso in strage (indagini analoghe sono già state aperte e chiuse). I protagonisti si difendono e parlano di una ricostruzione infamante.  

Dagli atti emerge che Baiardo ha più volte fatto riferimento all’esistenza di questa fotografia nei colloqui con Giletti, colloqui che gli investigatori hanno registrato per verificare la veridicità delle dichiarazioni del conduttore. 

Gli audio del pentito

Gli audio, vista la cancellazione del programma, non saranno mai trasmessi su una televisione nazionale, sono stati mandati in onda da Lacnews24 nello speciale sul processo realizzato dal giornalista Pietro Comito. Queste registrazioni incrociano i protagonisti della foto che, nel caso esistesse, riscriverebbe la storia delle stragi e un pezzo di storia repubblicana. 

Partiamo dal primo audio, che vede protagonista Antonino Fiume, un collaboratore di giustizia di primo livello della ‘ndrangheta. Interrogato dal pubblico ministero, Giuseppe Lombardo, risponde a questa domanda: «Mi spiega meglio, questo fatto di non rapire il figlio di Berlusconi?». «I palermitani erano andati ad Africo, Peppe Morabito (boss di ‘ndrangheta, ndr) si era assunto la responsabilità perché i palermitani dicevano che gli fa dei regali e di non sequestrarlo, era un periodo che i sequestri c’era chi voleva farli e chi no, e Antonio Papalia l’aveva passata per novità questo discorso che il figlio di Berlusconi non si doveva toccare». Lo aveva mandato a dire Antonio Papalia che «il figlio di Berlusconi non si tocca». 

Papalia non è il nome qualunque non solo per il peso che ha avuto nella ‘ndrangheta, ma anche perché diversi collaboratori di giustizia indicano in rapporti con il generale Francesco Delfino. Il generale Delfino (o ex generale, poiché ha ingloriosamente concluso la sua carriera subendo l’onta della degradazione a soldato semplice), calabrese e originario di Platì, sarebbe uno dei protagonisti della foto dei misteri. Anche Delfino, ma dal punto di vista investigativo, si occupava di sequestri, nel suo caso per evitarli. 

«È emersa, in modo fin troppo evidente, la collocazione verticistica dei Papalia (e in primis di Domenico Papalia) e dei fratelli del generale Francesco Delfino nel panorama 'ndranghetistico e massonico», scrivono gli investigatori autori del rapporto ‘ndrangheta stragista.

«In quel quadro di analisi era stata, anche, evidenziata la posizione di Francesco Delfino, generale dell'Arma dei carabinieri, in un periodo in fuori ruolo presso il Sismi (i servizi segreti interni, ndr), originario di Platì (cuore della ‘ndrangheta) e attore, in più ricorrenze, di accadimenti criminali della massima importanza in questo procedimento», proseguono gli inquirenti.

Un capitolo dell’informativa è dedicato al potere dei Papalia e di uno dei parenti di Delfino su Buccinasco, provincia di Milano, feudo nordico della cosca, dove ancora oggi hanno una fortissima influenza.  

Nell’informativa agli atti del processo ‘ndrangheta stragista in cui i pubblici ministeri calabresi hanno dimostrato il ruolo delle cosche reggine nella strategia eversiva degli anni Novanta guidata da cosa nostra e Totò Riina, emerge più volte il nome di Delfino.

Il generale e i padrini

Soprattutto per i suoi rapporti con il gotha della ‘ndrangheta, cioè i Papalia, che erano sovrani non solo in Calabria. Anzi, i fratelli Papalia erano considerati ai tempi i capi dei capi della mafia al nord, in particolare in Lombardia, dove all’epoca, come raccontato al pm Lombardo da diversi pentiti esisteva una sorta di “consorzio” unico delle tre mafie più potenti (camorra, ‘ndrangheta e cosa nostra) con Papalia a farla da padrone.

Proprio lì dove organizzava sequestri degli industriali e contemporaneamente interloquiva con la politica locale. 

Su Delfino oltre ai rapporti con i boss Papalia erano emersi i legami con un altro potente padrino di ‘ndrangheta, intimo dei Papalia: «Altro tema di interesse a queste indagini è la collocazione, nello scenario criminale che stiamo esplorando, di Giuseppe Nirta, soggetto legato - dalle risultanze giudiziarie note - al generale Francesco Delfino». Anche la famiglia Nirta, di San Luca (altro santuario della ‘ndrangheta) all’epoca coinvolta nei sequestri di persona. 

Delfino ha avuto un ruolo anche nella collaborazione di Balduccio Di Maggio, colui il quale porterà gli investigatori nel covo di Totò Riina. Come ha raccontato il nostro giornale abitavano tutti lì, fra il 1992 e il 1993. I fratelli Giuseppe e Filippo Graviano latitanti, il loro amico gelataio Salvatore Baiardo che li ospitava ad Omegna “con altre persone”, abitava lì anche il generale Francesco Delfino che aveva una villa a Meina, e a Borgomanero era stato catturato Balduccio Di Maggio. Un altro audio che sarebbe stato trasmesso durante la trasmissione è quello nel quale Giuseppe Graviano riferiva di aver investito, in particolare il nonno, nelle attività finanziarie di Silvio Berlusconi. Audio che resteranno sconosciuti al grande pubblico. 

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