Secondo l’ultimo bollettino settimanale dell’Istituto superiore di sanità e del ministero della Salute, emanato il 21 aprile, nella settimana tra il 10 e il 16 aprile in Italia sono stati segnalati 24.970 nuovi casi di Covid, e di questi malati 31 sono deceduti.

Dall’inizio dell’epidemia alle ore 12 del 19 aprile 2023 sono stati diagnosticati e riportati 25.972.868 casi di Covid, e tra questi 187.934 sono state le vittime. Ora lo possiamo dire: almeno in Italia la pandemia di Covid è terminata. Probabilmente, tra giugno e luglio, dopo aver contato 7 milioni di morti nel mondo, l'Organizzazione mondiale della sanità proclamerà ufficialmente la fine della pandemia.

«Penso che stiamo arrivando a un punto in cui potremo guardare al Covid-19 allo stesso modo in cui guardiamo all'influenza stagionale», ha dichiarato il direttore delle emergenze dell’Oms Michael Ryna. L’11 aprile il presidente americano Joe Biden ha firmato una risoluzione del Congresso che stabilisce che negli Usa l’emergenza Covid, iniziata tre anni fa, finirà ufficialmente l’11 maggio. Quindi, nella maggior parte dei paesi la pandemia di Covid è in netto declino per non dire al tramonto, ed è giunto il momento di stilare un bilancio.

I vaccini

La prima certezza assoluta è che i vaccini contro il Covid hanno rappresentato un trionfo della scienza. Uno studio condotto da un gruppo di scienziati dell’Imperial College di Londra guidati da Azra Ghani, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Lancet col titolo “Impatto globale del primo anno di vaccinazione anti Covid: uno studio di modellistica matematica”, dimostra che nel solo primo anno i vaccini anti Covid hanno prevenuto la morte di almeno 19,8 milioni di esseri umani in 185 paesi del mondo.

Ciò significa che hanno ridotto del 63 per cento le morti globali attese a causa del Covid, che senza i vaccini sarebbero state 31,4 milioni. La distribuzione dei vaccini però è stata diseguale: la maggior parte delle dosi è stata destinata ai paesi più ricchi. Se un numero maggiore di dosi fosse stato destinato ai paesi più poveri le vite risparmiate avrebbero potuto essere molte di più. Altri studi stimano che i vaccini nei primi due anni di pandemia – da dicembre 2020 a novembre 2022 – abbiano prevenuto oltre 120 milioni di casi di Covid e circa 25 milioni di morti.

Ma se anche il grosso della emergenza Covid volge al termine, purtroppo gli strascichi della pandemia ci perseguiteranno a lungo. Lo dimostrano alcuni studi recenti.

Gli effetti

Nel passato molte ricerche avevano dimostrato che molti individui affetti da Covid-19, oltre a sperimentare le fasi acute della malattia ormai tristemente note – polmonite bilaterale con complicanze quali miocarditi, vasculiti, encefaliti, trombosi eccetera – possono andare incontro a un ampio numero di sequele, tra le quali il diabete.

Alcuni studi delle ultime settimane – tra i quali un articolo dal titolo “Associazione tra il Covid-19 e l’insorgenza del diabete” appena pubblicato sul Journal of the American Medical Association da un gruppo di medici candesi guidati da Naveed Janjua – hanno ormai provato in maniera inconfutabile che il Covid-19 facilita l’insorgenza del diabete.

Nel corso degli ultimi due anni almeno una quindicina di studi hanno dimostrato che chi si ammala di Covid – sia chi è colpito in maniera grave, sia chi è colpito in maniera lieve, sia chi è affetto da Long-Covid – corre un rischio dall’11 al 235 per cento superiore di sviluppare un diabete di tipo 1 (dell’infanzia, a genesi autoimmune) o 2 (dell’età adulta) rispetto a chi non si ammala di Covid. Qual è il meccanismo?

Il Sars-Cov-2, responsabile del Covid, entra nel nostro organismo per via aerea attraverso il naso e la bocca, arriva nei polmoni e qui, tramite la sua proteina Spike si lega ai recettori ACE2  e TMPRSS2 sulla membrana delle cellule dei nostri alveoli polmonari, penetra dentro di esse, si replica generando nuove copie del virus che fuoriescono danneggiando la cellula, i nuovi virus invadono le cellule vicine, e così via, e così distruggono a poco a poco i polmoni.

Questa infezione richiama nei polmoni un gran numero di cellule immunitarie con il compito di attaccare e uccidere il virus, definite “cellule dell’infiammazione” – granulociti, macrofagi, ecc – che cominciano a secernere sostanze chiamate citochine, le quali attirano altre cellule immunitarie che fagocitano virus e cellule morte, e che rilasciano altre citochine, le quali richiamano altre cellule ancora, e così via.

Questa infiammazione è la prima risposta del nostro corpo contro l’infezione da coronavirus: si chiama risposta immunitaria innata, è la più antica e meno specifica e, come un esercito che butta bombe a mano di qua e di là, uccide tutto, virus e cellule del nostro corpo.

Poi, circa quindici giorni più tardi, incominciano anche ad arrivare cellule immunitarie più specializzate: i linfociti B che producono anticorpi contro il virus, e i linfociti T che uccidono in maniera specifica il virus. Questa è la risposta immune acquisita. Ma in qualche caso – specie in chi è più anziano – i linfociti B e T sono meno efficienti, come soldati un po’ avanti negli anni, e invece a combattere restano solo le cellule dell’infiammazione, che secernono una “tempesta di citochine” che richiama un’enorme massa di cellule immunitarie, le quali scatenano una super-infiammazione polmonare che distrugge tutto, virus e tessuto polmonare: questi sono i casi di Covid più gravi, che possono portare persino alla morte. Perciò, i danni più seri del Covid sono determinati non dal virus, ma dalla azione eccessiva del nostro stesso sistema immunitario.

Sistema immunitario “impazzito”

In alcuni casi, il Sars-Cov-2 attraverso il circolo sanguigno dei polmoni si diffonde in tutto il resto del nostro corpo attaccando tutte quelle cellule dei vari organi che espongono i  recettori ACE2  e TMPRSS2 sulla loro membrana.

Dato che le cellule beta del pancreas – quelle che producono l’insulina – possiedono quei recettori, il coronavirus può attaccarle direttamente e ucciderle, così l’insulina non viene più prodotta e quell’individuo si ammala di diabete. In altri casi, è probabile che l’infezione da coronavirus faccia “impazzire” il nostro sistema immunitario che così si mette a produrre auto-anticorpi che distruggono le cellule beta pancreatiche, e anche in questo caso si sviluppa il diabete.

Ormai sempre più ricerche dimostrano che il Sars-Cov-2 – attraverso meccanismi ancora in larga parte ignoti – favorisce l’insorgenza di varie malattie autoimmuni. Nelle ultime settimane sono stati pubblicati tre studi – condotti su vasti campioni di popolazione in tre nazioni diverse: Germania Stati Uniti e Regno Unito – i quali sono tutti i giunti alla medesima conclusione: «Il Covid incrementa maniera sostanziale il rischio di sviluppare un vasto spettro di nuove malattie autoimmuni». 

Per essere più precisi queste ricerche dimostrano che chi si è ammalato di Covid corre un rischio da due a tre volte più elevato di sviluppare malattie quali l’artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico, la sindrome di Syogren, la sclerosi sistemica, il morbo di Behcet, la polimialgia reumatica, la psoriasi, la vasculite autoimmune, la celiachia, il morbo di Crohn, la colite ulcerosa e altre ancora.

Il meccanismo non è ancora ben chiaro, ma quel che è certo è che il Covid provoca una super-infiammazione che disorienta il nostro sistema immunitario il quale si mette a produrre una massa enorme di autoanticorpi che in certi casi possono aggredire vari tessuti e vari organi del nostro stesso organismo danneggiandoli. Probabilmente, negli anni a venire assisteremo a un’esplosione di individui affetti da malattie autoimmuni, e molte di esse saranno state causate dal Covid, anche se in molti casi non riusciremo a dimostrarne il legame.

Tutti gli studi finora condotti indicano che la vaccinazione previene anche queste complicanze: una ragione in più per ricordare che dobbiamo vaccinarci e fare tutti i dovuti i richiami contro il Covid.

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