Se è vero che fare teatro è diventato difficile, farne uno che racconti le piaghe sociali allora lo è ancora di più. «Mi ripetevo che sui Cpr si può scrivere una conferenza, un articolo, non uno spettacolo teatrale». Oscar Agostoni è un drammaturgo e regista, fondatore del progetto teatrale “Disturbi”. Dal 2023, con la collaborazione di Helga Bernardini, gira l’Italia con “Reietti. Come creammo i Cpr”, spettacolo che denuncia la realtà dei Centri di permanenza per i rimpatri, partendo dalla storia di Moussa Balde, un ragazzo di 23 anni, di origine guineane, morto suicida nel 2021 mentre si trovava in isolamento nel Cpr di Torino. È un teatro essenziale, sfrontato e vero, che dà voce a chi è inascoltato.

credits: Helga Bernardini

Oscar, da sempre si occupa di teatro popolare e temi sociali: perché questa scelta, qual è la sua storia?

Oscar Agostoni: Nasco come saltimbanco, facevo teatro di strada. Dopo ho iniziato a usare un pupazzo, con una sua voce narrante, che mi ha fatto tirar fuori dei monologhi riguardo temi sociali e politici. Il pupazzo è una maschera, permette di far dire delle cose che dette da una persona in carne e ossa risultano ridicole, invece così diventano più profonde. Ho iniziato a pensare a un tipo di teatro in cui ci fossi solo io in scena, senza altri artifici, sempre più semplice, in cui risaltasse la parola. Il progetto “Disturbi” è nato solo con me e poi si è aggiunta Helga. È stato da subito anche un progetto politico. Lo spettacolo sui Cpr è difficilmente vendibile nei teatri. Forse adesso dei Cpr se ne parla un po’ di più, ma quando noi siamo partiti due anni e mezzo fa erano meno conosciuti e nessuno era interessato.

Helga Bernardini: Aggiungerei che sono argomenti che davano anche un po’ fastidio ad alcuni ambienti della sinistra, quindi anche in ambiti dove di primo acchito poteva sembrare fossero felici di ospitare lo spettacolo, in realtà non è stato così. Dei Cpr non si poteva parlare: erano ostici.

Qual è la genesi di Reietti: com’è nato e come è stato sviluppato?

L’idea è nata da Luna, la figlia di Helga, che ha militato per un po’ di tempo nella rete “Mai più lager – No ai Cpr” di Milano. Lei sentiva storie drammatiche e mi ha suggerito di fare uno spettacolo per raccontare ciò che succedeva là dentro. Non ero molto convinto inizialmente, conoscevo poco sull’argomento e non avevo idea della drammaticità della situazione. Ho cominciato a informarmi e ho capito che effettivamente pochi conoscevano la realtà di questi posti, che poi sono a pochi chilometri da dove viviamo. Questa cosa qua sta in Italia, ci sono di fatto delle torture che avvengono lì dentro. Ho raccolto testimonianze e ho capito che ciò che accade andava raccontato. Più volte ho pensato di rinunciare, perché all’inizio ho accumulato una quantità incredibile di informazioni, dati e numeri, che negli spettacoli non funzionano. Bisognava scegliere cosa dire, cosa tagliare, che forma dare.

Poi ho trovato la storia di Moussa Balde che, secondo me, racchiudeva tutti gli elementi di quella realtà. Era una storia drammatica, il video del pestaggio di Moussa mi aveva colpito moltissimo. Però io, che sono un maschio, bianco e italiano, non potevo fare la voce delle persone che stanno all’interno dei Cpr, allora ho scelto la figura del narratore: un detective che piano piano scopre gli orrori dei Cpr. La mia voce non parla a nome di chi subisce, ma rappresenta chi è all’esterno di tutto questo. È una questione di onestà.

Prima di Reietti avete realizzato altri monologhi su questioni sociali. Che funzione ha il teatro sociale e qual è la sua originalità rispetto ad altre espressioni artistiche?

Ha una potenza incredibile. In un’epoca in cui siamo sommersi da immagini mediate dai telefonini, il teatro di narrazione – qualcuno che dal vivo ti racconta una storia – ha ancora una sua potenza, mette in gioco il cervello dello spettatore. C’è soltanto un attore o un’attrice in scena e tutto ciò che si racconta è il pubblico a doverselo immaginare. Si può dire che lo spettacolo è creato sia dal pubblico, sia dalla persona sul palco. Questo è più complesso rispetto a un film, dove è già tutto rappresentato e il pubblico deve assorbire. Nel teatro è richiesta un’attenzione maggiore, che rende tutto più emozionale, soprattutto quando si racconta una storia vera. C’è però il problema che viviamo in un’epoca in cui il teatro è poco frequentato, costa tanto ed è poco considerato. Bisognerebbe riuscire ad arrivare a tutte le persone, perché uno spettacolo dal vivo ha una potenza diversa.

Quali emozioni o reazioni pensavate di suscitare con Reietti e che ritorno avete avuto?

Oscar Agostoni: Tanti spettatori sono rimasti scioccati, alcune persone piangono durante lo spettacolo, hanno reazioni forti. È un po’ quello che speravamo. L’intento della scrittura di Reietti era che fosse meno militante possibile, affinché raggiungesse tutte le persone. Quindi abbiamo lavorato sul linguaggio, senza dare per scontato che tutte le persone avessero già delle informazioni sul tema. Spesso siamo chiamati da associazioni attive su questioni sociali, quindi partiamo da un pubblico “amico”, però ci piacerebbe raggiungere anche un pubblico che di questa realtà non sa proprio nulla.

Helga Bernardini: Le prime dozzine di repliche di Reietti sono state fatte in ambienti che conoscevano Oscar e avevano visto spettacoli simili. Un pubblico molto consapevole quindi. Eppure, dopo aver visto lo spettacolo, è capitato spesso che qualcuno ci dicesse che non si aspettava molte cose tra quelle venivano raccontate.

Portare questi spettacoli, se vogliamo, di denuncia per voi è una responsabilità?

Helga Bernardini: È più un’esigenza. Sentiamo forte il bisogno di dire certe cose, non vogliamo che passino in silenzio. Su questo, la scelta di fare dei monologhi senza scenografia, senza luci, un palco dove non c’è nulla, è voluta. Permette di portare lo spettacolo ovunque e rispecchia l’esigenza di raccontare alle persone. Non si tratta solo fare teatro per andare nei teatri, noi facciamo teatro nei salotti, negli spazi sociali: è importante stare tra le persone, parlare con loro.

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