C’è la guerra del governo Meloni alle Ong, il frasario che etichetta le imbarcazioni delle organizzazioni non governative come taxi del mare, e poi c’è l’ultima tragedia, decine di migranti morti che il mare ha riportato sulla spiaggia di Steccato di Cutro, a venti chilometri da Crotone.

Sul barchino, partito dalla Turchia, erano ammassate quasi duecento persone, si è spezzato a poche centinaia di metri dalla riva e in mare sono caduti i migranti, alcuni sono annegati subito, altri hanno provato a salvarsi, famiglie intere sono state risucchiate dalle onde. L’imbarcazione ha colpito probabilmente uno scoglio, di fatto è stata distrutta scaraventando tutti in acqua.

Sulla sabbia, l’indomani, tra i resti di vite spezzate ci sono un pantalone con dentro una banconota, un pigiamino e un biberon.

Le vittime accertate aumentano continuamente, sono oltre 64, la maggior parte sono donne e minorenni, molti i bambini, una ottantina quelli tratti in salvo, il resto sono introvabili. Il corpo di un neonato è stato raccolto sulla spiaggia, due gemellini morti sono stati recuperati in mare. Scappavano con le loro famiglie dalle guerre, dalle miseria e dalla povertà. 

I sopravvissuti

Una parte dei sopravvissuti è stata trasferita in ospedale per le cure mentre gli altri sono stati portati al Cara, il centro di accoglienza per richiedenti asilo. Urla, silenzi e disperazioni tra i superstiti che cercano, invano, fratelli, mariti, figli. Medici senza frontiere offre un supporto psicologico e ha raccolto le prime testimonianze. 

C’è una signora afgana che ha perso marito durante il naufragio, un ragazzo minorenne della stessa nazionalità, ha 16 anni, che è arrivato vivo sulla spiaggia mentre la sorella è morta, di anni ne aveva 28. Erano partiti proprio per cambiare la vita della donna, diventata un’esistenza impossibile sotto il regime dei talebani. «Non ha ancora avuto il coraggio di dire ai genitori della morte della sorella», emerge dai resoconti del primo consulto psicologico. 

Chi è sopravvissuto fa i conti con la morte che lo circonda, un signore afgano ha perso tre figli che erano a bordo con lui, avevano 13, 9 e 5 anni, non ce l’ha fatta neanche la moglie. Ora vive con il senso di colpa per essersi salvato. Un bambino afgano di 12 anni ha perso tutta la famiglia, fratelli e genitori. 

Il governo contro volontari e Ong

Una strage che smentisce la tesi, sostenuta anche dal governo delle destre, che le organizzazioni non governative in mare possano rappresentare una calamita per le partenze. La tragedia di Cutro conferma esattamente il contrario, chi è disperato parte e senza canali legali cerca ogni modo per fuggire da dramma e povertà. 

Ma sono anche le parole del ministro che generano polemiche e la reazione delle opposizioni. «Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità di non chiedermi cosa devo aspettarmi dal luogo in cui vivo ma cosa posso fare io per il Paese in cui vivo per il riscatto dello stesso», ha detto Piantedosi rispondendo alle domande dei giornalisti al termine dell’incontro in prefettura.

La strage arriva a pochi giorni dalla decisione del governo di bloccare la nave ong di Msf, la Geo Barents,  imbarcazione che non avrebbe intercettato quel barchino, ma potrebbe evitare altre tragedie e, invece, è ferma per decisione del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi.

«In fondo queste tragedie non sono altro che il tragico danno collaterale di politiche italiane ed europee di progressiva riduzione di tutti i canali regolari di accesso. Di fronte alla diversificazione delle rotte e all’aumentare delle partenze bisogna ripristinare un sistema istituzionale di soccorso in mare, non bisogna confondere il soccorso in mare con la lotta all’immigrazione clandestina, come fa il governo italiano», dice Marco Bertotto, direttore dei programmi di Msf. 

La procura di Crotone ha aperto un’inchiesta, uno degli scafisti è stato fermato dagli inquirenti, ma le polemiche sui mancati soccorsi continuano. «Se da ieri si sapeva della difficoltà di questa imbarcazione si poteva andare incontro per salvarli, perché non lo si è fatto? Io da 30 anni faccio soccorsi in mare e si poteva uscire. Non si può parlare di carico residuo, non si può, esistono solo gli uomini», ha detto Orlando Amodeo, medico e soccorritore, a La7, nella trasmissione Non è l’arena.

A cosa fa riferimento? A un nota diffusa dalle autorità, il 26 febbraio, nella quale si legge: «Nella serata di ieri un velivolo Frontex in attività di pattugliamento ha avvistato un’imbarcazione che presumibilmente poteva essere coinvolta nel traffico di migranti, a circa 40 miglia dalle coste crotonesi. Immediatamente veniva attivato il dispositivo operante sul mare per l’intercetto dell’imbarcazione».

Così si muovono una vedetta e un pattugliatore della guardia di Finanza, ma «le unità del corpo, nonostante gli sforzi operati per raggiungere il target, considerate le difficili condizioni meteo-marine e l’impossibilità di proseguire ulteriormente in sicurezza, facevano rientro agli ormeggi di base», si legge nella nota.

Una fonte investigativa spiega a Domani che le due imbarcazioni non sono intervenute perché avrebbero messo a rischio l’equipaggio e gli stessi migranti nelle procedure di salvataggio, ci sarebbe stato bisogno di un incrociatore che veniva utilizzato durante l’operazione della marina militare Mare nostrum.

Il ministro dell’Interno ha reagito dopo le affermazioni di Amodeo allertando addirittura l’avvocatura dello stato per valutare le affermazioni del soccorritore. 

La guerra alle Ong si allarga anche ai volontari. Intanto le bare dei defunti sono all’interno del palazzetto dello sport di Crotone, trasformato in obitorio. Fuori campeggia una scritta: «Presidio contro questa mancanza di umanità». Qualcuno ha portato dei fiori per ricordare le vittime, molte rimarranno senza nome e senza sepoltura. 

© Riproduzione riservata