Dal prossimo primo luglio si trasferirà nella diocesi di Friburgo, tornerà dunque alle origini l’ex segretario di Benedetto XVI, mons. Georg Gänswein.

Un breve comunicato della sala stampa della Santa sede annunciava lo scorso 15 giugno il definitivo benservito. «In data 28 febbraio 2023 – ricordava con burocratica freddezza il breve testo – mons. Georg Gänswein ha concluso l’incarico di prefetto della Casa pontificia. Il santo padre ha disposto che mons. Gänswein dal 1° luglio rientri, per il momento, nella sua diocesi di origine».

Non bisogna lasciarsi ingannare troppo da quel riferimento al rientro momentaneo nella diocesi di Friburgo, in Vaticano, infatti, spesso non c’è nulla di più definitivo degli incarichi temporanei.

Certo è che Gänswein, ha “solo” 67 anni, un’età relativamente giovane per un arcivescovo. Eh sì, perché Benedetto XVI, pochi giorni prima di annunciare la rinuncia al papato, volle ricompensare il suo fedele segretario nominandolo arcivescovo e assegnandogli un incarico in  Vaticano quale prefetto della Casa pontificia.

Il lascito di Benedetto XVI

La permanenza di mons. Georg nella Curia romana ha fatto parte dei lasciti di Ratzinger al suo successore e, come è emerso sempre più chiaramente col passare del tempo, fra Francesco e il prelato tedesco di bella presenza e posizioni ultraconservatrici, sono state assai più numerose le incomprensioni e gli attriti che le intese.

Da ultimo, motivo di polemica è stato una sorta di libro di memorie pubblicato da mons. Gänswein subito dopo la morte del suo nume tutelare il 31 dicembre scorso. Nient’altro che la verità, il titolo dell’opera che forse voleva essere un omaggio a Joseph Ratzinger visto da vicino, almeno nelle intenzioni, e che invece sembra essere più un racconto di fatti in gran parte noti, il cui vero protagonista è lo stesso segretario del papa emerito.

«Dal 1° marzo 2003 – si legge nella testimonianza di Georg – fui il suo segretario privato per i due anni suc­cessivi, mentre era ancora prefetto dell’ex Sant’Uffizio, fino alla morte di papa Giovanni Paolo II nell’aprile del 2005. E lo sono rimasto poi per tutti i suoi otto anni di pontifi­cato, fino alla rinuncia nel 2013, e anche successivamente, durante i restanti anni della sua vita come “papa emerito”.

Tutte sono state esperienze di grazia che mi hanno per­messo di conoscere il vero volto di uno dei più grandi protagonisti della storia del secolo scorso, troppo spesso denigrato dalla narrazione di media e detrattori che lo defi­nirono “Panzerkardinal” o “Rottweiler di Dio” per criticare convinzioni che in realtà non facevano altro che esprimere la sua profonda fedeltà alla tradizione e al magistero della chiesa e la difesa della fede cattolica».

Nel libro si toccano vari argomenti sensibili: dal primo scandalo Vatileaks alla messa in latino, dal celibato, all’ultimo conclave, alla difesa dell’operato dello stesso Gänswein.

Il segretario “piacione”

Mons. Georg, dunque, fu toccato dalla sorte e assurse a osservatore privilegiato di un pezzo della storia recente della chiesa e non solo. Va detto, a onor del vero, che la sua non è stata una presenza vissuta all’insegna della discrezione, soprattutto nella prima fase; frequentatore dei salotti della nobiltà romana ben introdotta in Vaticano, giocatore di tennis, oggetto di attenzione mediatica per via del bell’aspetto, col sorriso sempre pronto e la capacità di accattivarsi gli interlocutori più differenti senza mai però perdere la misura, mons. Georg si è goduto il suo momento di celebrità.

A Roma esiste una parola per definire chi si comporta così: il segretario del papa faceva “il piacione”, e ci prendeva gusto a farsi fotografare con qualche dama o principessa al centro delle cronache mondane romane, senza mai risultare esagerato nelle forme e nei comportamenti.

Certo, niente a che vedere con il passo felpato del segretario di Karol Wojtyla, mons. Stanislaw Dziwisz, grande e oscuro manovratore del potere vaticano che, negli anni finali del pontificato di Giovanni Paolo II, svolse un ruolo importante in tante decisioni assunte dalla Santa sede, tanto era il potere di cui godeva e la fiducia che riponeva in lui il pontefice polacco ormai malato dopo 40 anni trascorsi al suo servizio.

Pochi mesi dopo essere stato eletto al soglio pontificio, fu lo stesso Benedetto XVI a ricompensare mons. Dziwisz con la nomina ad arcivescovo di Cracovia e la berretta rossa cardinalizia (in tal modo allontanandolo anche rapidamente da Roma).

Friburgo e il Costa Rica

La posizione di mons. Gänswein, al contrario, non è altrettanto certa: dovrà infatti tornare a Friburgo, diocesi nella quale è incardinato (e che in ogni caso gli ha pagato parte dello stipendio in questi anni), dove però dovrà vedersela con l’arcivescovo locale titolare effettivo della diocesi, mons. Stephan Burger.

E a questo proposito Katolisch.de, portale informativo della Chiesa cattolica tedesca, sollevava una questione canonica di non facile soluzione: «In realtà c’è posto per un solo arcivescovo in un’arcidiocesi. E a Friburgo si chiama Stephan Burger. Questo è fuori questione. Più difficile è capire se Gänswein sia soggetto al dovere di obbedienza a Burger».

Per questa ragione i due dovranno necessariamente parlarsi e trovare una soluzione. Una ipotesi allo studio è che l’ex segretario di Ratzinger vada a insegnare in un’università cattolica; di certo per ora è esclusa la soluzione prospettata qualche tempo fa dalla stampa tedesca ovvero che mons. Georg finisse a fare il nunzio apostolico in Costa Rica.

Incarico che certo gli avrebbe aperto, sia pure tardivamente, la strada alla carriera diplomatica vaticana, ma che, al contempo, sembrava un modo attraverso il quale Francesco avrebbe potuto spedire Gänswein alla «fine del mondo», tanto per citare un’espressione cara all’attuale pontefice.

La deriva tradizionalista

D’altro canto, Bergoglio non ha nemmeno potuto attribuire la titolarità di una diocesi tedesca a Gänswein, bisogna infatti tener conto che la conferenza episcopale della Germania è su posizioni riformatrici piuttosto avanzate e non avrebbe gradito troppo che da Roma fosse stato catapultato un nuovo vescovo legato alla messa preconciliare e ad ambienti tradizionalisti.

Anche perché, il processo sinodale in corso a livello mondiale ha visto proprio la chiesa tedesca spingere per cambiamenti radicali su temi come l’obbligatorietà del celibato, il ruolo dei laici e delle donne, la benedizione delle unioni omosessuali.

Una pressione che sta dando al papa più di un grattacapo con il rischio che la prossima sessione generale del sinodo, in programma a Roma per il mese di ottobre, si trasformi nell’ennesimo momento di aperto conflitto fra le varie anime della chiesa universale; in un contesto già carico di tensioni nominare mons. Georg vescovo in Germania, poteva apparire come una provocazione.

D’altro canto, la vulgata diffusa a piene mani dall’ex segretario del papa emerito, di un Ratzinger con il cuore a pezzi a causa della decisione di papa Francesco di porre forti limitazioni alla celebrazione della messa in latino preconciliare – di fatto abrogando la liberalizzazione decisa da Benedetto XVI con il motu proprio Summorum pontificum – ha mandato su tutte le furie Francesco, anche perché non era il primo episodio del genere.

La goccia che ha fatto traboccare il proverbiale vaso, infatti, risale al 2020, quando è scoppiato una sorta di scandalo per la pubblicazione di un libro a doppia firma, del papa emerito insieme al cardinale conservatore Robert Sarah, intitolato Dal profondo del nostro cuore, in cui si difendeva a spada tratta la tesi dell’obbligatorietà del celibato; una mossa che venne letta come il tentativo di fermare possibili aperture del papa regnante sul tema, mentre faceva emergere una bizzarra diarchia al vertice della chiesa di Roma.

Mons. Georg venne considerato fra i responsabili del pasticcio, cercò per altro di far ritirare in extremis e goffamente la firma del papa emerito dal volume in questione. Da quel momento, Francesco, pur lasciandolo formalmente nell’incarico di prefetto della Casa pontificia, ordinò a mons. Georg. di dedicarsi unicamente all’assistenza di Ratzinger, cosa che – come lui stesso ha raccontato in diverse interviste – lo contrariò non poco affermando di non comprenderne le ragioni.

Cosa resta Oltretevere dell’intraprendente segretario di Benedetto XVI? Non molto a dir la verità, se non qualche alleato caduto da tempo in disgrazia, come il cardinale statunitense Raymond Leo Burke, trumpiano, ultratradizionalista, oppositore deciso di Bergoglio.

È necessario però considerare che papa Francesco ha già riformato la Curia vaticana, modificandone organismi e funzioni e rafforzando la scelta di volti nuovi ai vertici dei vari dicasteri. Così come è cambiato profondamente il collegio cardinalizio all’interno del quale gli oppositori più intransigenti del papa argentino sono ormai un piccolo gruppo.

Quello che arriva sarà necessariamente il tempo delle mediazioni, delle riforme un passo alla volta, pena il rischio di spaccare definitivamente la chiesa; su questa strada non sembra. fino a ora, che vi sia molto spazio per mons. Gänswein.

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