- Il caporalato non può essere letto solo come un fenomeno migratorio, ma come la risultante delle distorsioni che animano il mercato agroalimentare, dominato dalla Grande distribuzione organizzata (Gdo) che, in modo diretto o indiretto, stabilisce i prezzi di tutta la filiera, determinando anche il costo del lavoro.
- Il caporalato al nord si è evoluto in forme di sfruttamento più ricercate, che riescono a sfuggire ai controlli perché hanno una facciata pulita e completamente legale. Il caporalato in questi luoghi non prevede ghetti né rotonde, come siamo abituati a vederli al sud.
- Indagare le nuove sembianze dello sfruttamento intrecciandole al modello produttivo è il lavoro che Terra! porta avanti ormai da anni. E farlo in una delle regioni che presenta il più alto numero di procedimenti giudiziari per caporalato, è ancora più necessario
“Qui non siamo a Rosarno” è la risposta che si sente più spesso, quando in Lombardia si prova a chiedere se esiste il caporalato o, più genericamente, lo sfruttamento del lavoro in agricoltura. Una percezione largamente diffusa, che associa il fenomeno alla distesa di ghetti e baracche o a una mentalità truffatrice, tipicamente meridionale. E che invece, come dimostra l’ultimo rapporto dell’Associazione Terra! “Cibo e sfruttamento – Made in Lombardia” realizzato con il sostegno della Fondazione



