L’anima femminile del vino è un filo a volte sottile a volte spesso, che attraversa tutta la storia della produzione di questa bevanda. Oggi questo filo è concreto ed evidente, lo possiamo vedere sia a livello di consumo, nella predilezione delle donne per il vino rispetto ad altri alcolici; che sul piano della produzione, nei molti casi di imprenditrici che hanno fondato o ereditato importanti aziende vitivinicole ovunque nel mondo.

Il mondo antico

Già nella Bibbia le donne non solo lavorano nei vigneti ma controllano anche il lavoro altrui. Nel Cantico dei Cantici si descrive l’atmosfera della vendemmia resa festosa da donne che cantano e ballano. Ma le donne non sono solo una presenza ornamentale: possiedono dei vigneti che si dice producano più di quelli a guida maschile. I problemi, purtroppo, sono quelli di sempre: una donna si lamenta di non poter seguire i lavori nel suo vigneto perché i fratelli l’hanno obbligata a lavorare per loro.

Per gli antichi egizi, la ricchezza e molteplicità della personalità femminile erano incarnate dalla dea Hathor, che poteva essere leonessa, albero, donna sinuosa ed elegante con la testa di toro, cobra, gatto e altro. Bisognava averne paura solo quando appariva come leonessa, perché quando assumeva quelle sembianze il suo scopo era distruggere il mondo.

Gli egizi allora la rabbonivano con il vino e la musica e così la convincevano ad abbandonare quei propositi bellicosi e a patrocinare attività più piacevoli come le feste e il sesso. Hathor divenne così anche la dea del vino (e della birra) ed era celebrata con preghiere per una consistente produzione di uva e abbondanti bevute, dalle quali comunque molte donne erano escluse per paura che si intossicassero o assumessero quei comportamenti “scabrosi” che erano invece permessi agli uomini. Seguendo questo principio, nell’antica Grecia furono creati i primi circoli di bevitori, ovviamente solo per uomini, in cui le donne erano accettate solo come musiciste o prostitute.

A Roma e nel Medioevo

Ma è con i romani che le donne entrano nel processo di produzione del vino. È la domina, infatti, cioè la moglie del capofamiglia dominus, che supervisiona la vendemmia nel giardino della villa e poi tutto il processo di produzione. Lo scrittore Lucio Giunio Columella, esperto di agricoltura, sostiene inoltre che le mani delle donne siano più abili di quelle dell’uomo nello spremere gli acini.

Nel medioevo le donne continuano a lavorare nella produzione del vino, soprattutto nella fase della vendemmia, con alterne fortune, visti i tempi. In Spagna una di queste, Blanca Bardiera, verrà processata per stregoneria ma alla fine risparmiata. I resoconti del processo ci servono a capire che le donne che lavoravano nella vendemmia erano in realtà molto di più che delle semplici operaie. Blanca era infatti molto nota nel suo paese per essere una specie di santona che prevedeva malattie e trovava cure casalinghe (una zuppa di timo nel suo caso) per curarle. Fu processata proprio per questa attività.

Le vedove dello Champagne

Nel mondo moderno, il cammino delle donne sulla strada del vino si biforca. Da una parte c’è la persistenza del divieto di consumazione per evitare comportamenti allora considerati eccessivi: ancora nel Settecento, in Francia le prostitute erano le sole donne presenti nei locali dove si beveva come cabaret e taverne.

Dall’altra parte c’è il lavoro, che sempre più spesso offre alle donne delle occasioni di riscatto, fino a farle diventare imprenditrici di successo. Per la verità sono loro ad afferrare queste opportunità, anche quando gli uomini non vogliono concederle. Non a caso gli esempi più eclatanti arrivano da donne che appartenevano già a famiglie di produttori. L’Ottocento, secolo in cui le dame erano considerate più per la loro apparenza che per il loro ingegno, è anche il secolo delle “vedove Champagne”.

Madame Clicquot è la prima. Nicole-Barbe Ponsardin, questo il suo nome, sposò a soli 21 anni un giovane erede e produttore locale di vino, François Clicquot. Tutto lasciava presagire per la donna una facile e borghese vita sempre un passo indietro a quel piccolo produttore di champagne che gestiva con diligenza una rinomata impresa locale. E invece, quando il marito morì sei anni dopo a soli trent’anni, la donna diventò la nuova amministratrice dell’azienda. Immancabili arrivarono i consigli di cedere tutto a qualche altro imprenditore (ovviamente uomo), visto che non era pensabile che una donna da sola si mettesse a produrre vino. E invece Madame (da quel momento Veuve, vedova) Clicquot andò avanti, non solo a gestire quello che aveva ereditato, ma ad espanderlo a livello internazionale. Fu la stessa Nicole-Barbe, infine, ad escogitare soluzioni tecnologiche per migliorare la qualità del suo champagne, visto che per lei proprio la qualità del prodotto divenne la priorità assoluta. 

La seconda “vedova champagne” è Jeanne-Alexandrine Meline Pommery, che fu invece a capo di un “collettivo” femminile di cui facevano parte anche sua madre vedova e due zie, una vedova e l’altra non sposata. Moglie di Louis-Alexandre Pommery, produttore di champagne, mentre suo marito era in vita si dedicò principalmente alla famiglia. Morto il marito nel 1858, prese in mano l’azienda e con la collaborazione delle altre donne della famiglia portò avanti con grande successo la produzione, portandola dalle 45.000 bottiglie della gestione “maschile”, ai quasi 2 milioni e mezzo del 1890, anno della sua morte, grazie soprattutto a campagne di direct marketing che lei stessa creò e attuò.

Le vendemmie al femminile

Nella prima metà del Novecento sono moltissimi i resoconti di vendemmie in cui le donne hanno un ruolo del tutto paragonabile a quello degli uomini. Quello che aggiungono rispetto a loro è la festosità, esattamente come abbiamo visto accadere nella Bibbia. Cantando, gridando, e recitando “cunti”, storie spesso riguardanti persone del luogo o leggende simboliche, le donne danno alla vendemmia un’atmosfera vivace e gioiosa, che rende quella giornata più di un semplice dovere lavorativo.

Ogni momento di condivisione, poi, era in qualche modo gestito dalle donne. Molti hanno scritto dei pranzi durante le vendemmie, che furono delle vere occasioni per le donne per sperimentare la loro centralità domestica anche all’aria aperta e in un contesto lavorativo. Sono loro a portare il cibo, a disporlo su grandi tovaglie e a gestirne la distribuzione, proprio come a casa. 

E allora quelle “vendemmie al femminile” che vediamo oggi, in cui per raccogliere l’uva che diventerà vino sono all’opera esclusivamente delle donne, non sono solo degli eventi fini a sé stessi. Sono invece delle occasioni che ci riconnettono a quel filo di cui si parlava all’inizio, un tragitto che dalla Bibbia, gli egizi e i romani arriva fino a noi, il filo che ci racconta appunto l’anima femminile del vino.

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