Non chiedetegli se si sia vaccinato. Novak Djokovic non risponde e in realtà non serve nemmeno lo faccia. Le posizioni del numero uno della classifica mondiale ATP in materia di Covid-19 e vaccini sono note, dunque la sua non risposta è già una risposta. Però lui mantiene il punto e non dice.

Così ha agito rispondendo alle domande della testata serba Blic, che nella mattinata di oggi ha pubblicato il testo dell’intervista. A precisa domanda sulla somministrazione del vaccino, Djokovic ha risposto che non gli va di mettere in piazza un’informazione del genere. Un po’ per privacy, un po’ perché non gli sembra il caso di alimentare polemiche (sic!) facendosi testimonial per l’uno o l’altro degli schieramenti.

E tuttavia una mezza ammissione se l’è dovuta lasciar scappare, quando l’intervistatrice gli ha chiesto se abbia intenzione di andare agli Australian Open del prossimo gennaio. Da quelle parti le autorità sanitarie non transigono, se si vuol giocare bisogna fare il vaccino. E messo davanti a questa realtà il serbo ha detto che probabilmente rinuncerà, ma non perché non voglia saperne di fare la punturina, quanto perché «non voglio partecipare alla guerra sui vaccini che i media stanno fomentando». E già, i media che fomentano. E lui che si chiama fuori dalla mischia perché dentro quel match di sumo non si vuol lasciare coinvolgere. Argomento tartufesco che gli è già valso via web la stima del popolo no vax e no green pass. Ma anche l’ennesima ondata di critiche.

In buona compagnia

Già, perché non è la prima volta che il fuoriclasse serbo del tennis viene coinvolto in polemiche sul fronte del Covid-19. Nei mesi scorsi era salito su questa giostra e l’aveva girata in ogni postazione. Dapprima aveva espresso pieno scetticismo verso la prospettiva di vaccinarsi, salvo poi ritrattare ma probabilmente senza vaccinarsi. E per sommo contrappasso a giugno si è scoperto positivo al virus, in conseguenza di un meeting tennistico da lui organizzato in Serbia (l’Adria Tour) che si è risolto in un focolaio.

Dunque i precedenti gli avrebbero consigliato di tenersi lontano da polemiche sul tema. Evidentemente non gli riesce. Ma in verità non è il solo, sia nel microcosmo del tennis che nel macrocosmo dello sport internazionale. In termini di giravolte, meglio di lui ha fatto il greco Stefanos Tsitsipas, che prima è stato testimonial delle campagne lanciate dal governo nazionale per incentivare la vaccinazione, ma poche settimane dopo ha dichiarato pubblicamente l’insofferenza sul principio del vaccino come pre-requisito per la partecipazione ai tornei, ammettendo di non averlo fatto. E nelle scorse ore anche il russo Andrey Rublev ha preso una posizione controversa, sostenendo che per giocare gli Australian Open non sarebbe necessario vaccinarsi ma basterà osservare le due settimane di quarantena. Insomma si procede in ordine sparso, sia in termini di convincimenti personali che di gara a chi la spara più grossa..

La bolla Nba

Non soltanto il tennis ha i suoi no vax. Altre discipline sportive presentano delle cifre non indifferenti. Nel calcio l’incidenza sarebbe rilevante e la positività di ‘N’Golo Kanté, registrata lo scorso settembre, ha dichiarato aperto il dossier. Il centrocampista del Chelsea aveva rifiutato di vaccinarsi. E alla fine è stato contagiato. Da lì l’interrogativo: quanti saranno i calciatori che, in Inghilterra come altrove, continuano a sottrarsi al vaccino?

Le norme sulla privacy non consentono di avere cifre oggettive, ma guardando la caso italiano qualcuno si spinge a ipotizzare una quota del 2 per cento. Tuttavia è nella Nba che il fenomeno sta assumendo proporzioni rilevanti. Qui infatti fa scalpore il caso di Kyrie Irving dei Brooklyn Nets. A chi gli chiede se sia vaccinato replica che non risponde appellandosi al diritto di privacy. Ma intanto si sa per certo che non giocherà le partite in casa della sua squadra, a causa delle severissime norme anti-Covid in vigore a New York. In questo modo Irving rischia di rimetterci metà dello stipendio, un danno calcolato in circa 17 milioni di dollari.

Ma lui non fa una piega. Ha sposato il principio e lo porta fino in fondo. E sulla medesima linea si schiera un gruppo di colleghi che sono stimati in circa il 10% dell’intera pattuglia Nba. Praticamente un’altra bolla, ma diversa da quella che nell’estate 2020 venne approntata a Disney World (Orlando) per consentire di portare a termine le finals del torneo senza far sviluppare focolai. Adesso invece il basket dello showbiz globale ha una bolla di renitenti al vaccino fra cui, dichiaratamente, Bradley Beal dei Washington Wizards, Andrew Wiggins dei Golden State Warriors e Jonathan Isaac degli Orlando Magic. Si stima che in tutto siano una cinquantina. Una cifra alta abbastanza da mettere in imbarazzo la lega e l’associazione dei giocatori.

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