«I medici del reparto mi dissero che non potevano fornirmi la documentazione della nave Azzurra e non sapevano rispondere alla mia domanda in merito al ritardato trasferimento presso una struttura sanitaria. Gli stessi mi risposero che non potevano sapere e conoscere il motivo per il quale nonostante accusasse già alcuni sintomi non si era proceduto a far nulla. I medici del Cannizzaro mi hanno risposto che nulla potevano riferire». Quanto si legge in un esposto presentato il 16 settembre dall’avvocata Antonia Borrello al tribunale per i minorenni di Catania, proietta nuove ombre sulla gestione delle navi quarantena per migranti.

La vicenda è quella riportata ieri sul quotidiano Il Manifesto, denunciata già un mese fa, nell’indifferenza generale, dalla rete antirazzista catanese, e cioè quella della morte del diciassettenne di origini somale, Abdallad Said, deceduto il 14 settembre scorso all’ospedale Cannizzaro della città etnea, dopo esservi stato trasferito dalla nave quarantena Azzurra.

«Non ho ricevuto copia delle cartelle e non ho potuto capire le ragioni dei ritardi», spiega nell’esposto l’avvocata Antonia Borrello. «Alla mia richiesta di sapere se si fosse immediatamente proceduto al trasferimento presso un ospedale gli avrebbe salvato la vita, i medici nulla hanno potuto riferire». Per questo, «la legale ha chiesto che venga disposto ogni accertamento opportuno per valutare eventuali negligenze e ritardi che hanno potuto cagionare la morte di Said, attraverso il sequestro delle cartelle cliniche e un eventuale esame cadaverico».

Said, morto di tubercolosi

La storia in Italia del minore somalo che è morto esattamente tre mesi fa all’ospedale di Catania comincia il 29 agosto, quando appena dopo essere sbarcato sulle coste siciliane viene da subito trasferito sulla nave quarantena Azzurra ancorata nel porto di Augusta.  Della sua esistenza, però, le istituzioni italiane che dovrebbero tutelare i minori, se ne accorgono soltanto l’11 settembre, quando viene notificato alla legale, Antonia Borrello, il decreto di nomina di tutore, ciò nonostante la “legge Zampa” ne fissi l’obbligo entro tre giorni dall’arrivo in Italia del minore straniero non accompagnato. 

«Mi sono recata immediatamente al pronto soccorso dell’ospedale di Augusta, dove un infermiere mi ha comunicato che dopo il trasferimento di Said dalla nave Azzurra, ancorata nel porto di Augusta, attese le condizioni critiche del minore, e dopo averlo intubato, ne avevano disposto il ricovero», ha raccontato la legale a Domani: «Soltanto il 12 settembre sono stata informata del fatto che il minore era stato trasferito dalla nave al pronto soccorso perché aveva smesso di alimentarsi, aveva difficoltà a reggersi e le sue condizioni peggioravano».

È una testimonianza drammatica, quella di Antonio Borrello, l’avvocata di Said, che ha riferito: «nella piccola saletta dove era ricoverato, ho visto un esserino minuto, magrissimo, pelle ed ossa, alimentato con un sondino e intubato perché non respirava autonomamente». «Said non aveva il Covid, era affetto da tubercolosi che gli aveva provocato una meningite, la quale aveva poi invaso il cervello con due versamenti», questo si apprende dalla lettura della denuncia in base alla quale la procura di Siracusa, su segnalazione del tribunale dei minori, ora, vuole vederci chiaro ed ha aperto così una indagine. Said non aveva il virus. Era un minore ammalato gravemente di tubercolosi, giunto in Italia 14 giorni prima, e nonostante l’annunciato dietrofront, ad ottobre, della Ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, era stato “ospitato” sulle navi quarantena.

Il terzo minore morto

Said è il terzo minore migrante che è morto, in pochi mesi, dopo essere stato ospitato sulle navi quarantena. Prima di lui, due mesi e mezzo fa, Abou Diakite, un quindicenne della Costa D’avorio, era deceduto appena dopo essere sbarcato dalla nave quarantena Allegra. E prima ancora, Bilel Ben Masoud, ventiduenne di origine tunisina, si era buttato in mare la notte del 20 maggio scorso dalla nave quarantena Moby Zazà, ed aveva perso la vita, «in circostanze ancora da chiarire», come si legge in un rapporto-denuncia di 14 pagine pubblicato ieri e sottoscritto da 150 organizzazioni nazionali ed internazionali.

La denuncia delle organizzazioni

«Negli ultimi 6 mesi, più di 10.000 persone sono state confinate su unità navali in mare: persone in percorso migratorio sbarcate in modo autonomo a Lampedusa e in altri punti di approdo nel Sud Italia, persone soccorse nel Mediterraneo Centrale e tra essi famiglie, donne e minori», hanno denunciato le 150 organizzazioni, chiedendo al Governo italiano di mettere fine a questo sistema. Introdotto da un primo decreto della Protezione Civile del 12 aprile. Da allora, con altre nuove procedure di gara semplificate, il Viminale ha noleggiato altre navi a disposizione delle autorità italiane per gestire le misure sanitarie imposte dall’epidemia di Covid-19.

Al momento se ne contano cinque attive, Adriatico, Allegra, Azzurra, Rhapsody e la Suprema. Gli ultimi dati sulle presenze sulle navi quarantena riferiti dal Garante Nazionale delle persone private della libertà, e che risalgono al 20 novembre, raccontano, invece, di 2448 persone a bordo, di cui 197 positive. Mentre giuristi, operatori ed organizzazioni umanitarie, in queste ore, continuano a denunciare il sistema delle navi quarantena, ritenendolo «fortemente lesivo della tutela dei diritti e della dignità delle persone, inefficace in termini di contenimento del contagio, a fronte di un dispendio economico connesso», intanto, nuove ombre si proiettano su un “modello” che il Viminale aveva detto di voler fermare.

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