Nell’inchiesta della procura di Bergamo sulla gestione della prima ondata della pandemia da Covid-19 in Lombardia c’è un documento più di altri sul quale i pm fondano le ipotesi di epidemia colposa e omicidio colposo. Si tratta della consulenza tecnica affidata al pool di scienziati guidato da Andrea Crisanti, microbiologo di fama internazionale e oggi senatore del Pd. La relazione di Crisanti sintetizza errori, false dichiarazioni e superficialità regionali e nazionali. In particolare sulla mancata zona rossa in Val Seriana, provincia di Bergamo, ipotizza che non averla adottata a fine febbraio ha prodotto migliaia di vittime in più. 

 «L’adozione di misure più tempestive e restrittive in Val Seriana e nei comuni di Alzano e Nembro avrebbe permesso di contenere la diffusione del contagio e limitato in modo significato il numero di decessi con effetti tanto più marcati tanto più tempestiva l’implementazione», è scritto nella consulenza.

Colpa di governo e regione

La consulenza ricostruisce attraverso documenti, verbali e testimonianze, la prima fase della pandemia in Lombardia, sostenendo che né governo né regione abbiano preso decisioni drastiche per bloccare la corsa del virus. Quello che emerge dallo studio di Crisanti è che sia a Roma che a Milano si sia perso tempo cruciale per salvare le vite di chi aveva contratto la prima e terribile variante. La super consulenza quantifica in oltre 4mila le vite che si sarebbero potute salvare in provincia di Bergamo se fosse stata istituita la zona rossa fin dal 27 febbario 2020. I dati e gli scenari erano noti, come risulta dai documenti e dalle testimonianze raccolte dai magistrati e pubblicate da Domani nei giorni scorsi.

«La responsabilità degli organi decisionali nazionali (Comitato tecnico scientifico, Ministero della Sanità e Presidenza del Consiglio) e di Regione Lombardia (Presidenza, Assessorato alla Sanità e Direzione della Sanità) si riconduce a tre elementi», si legge nella consulenza commissionata dalla procura.

Il primo elemento i consulenti lo spiegano così: «Consapevolezza delle conseguenze sul sistema sanitario e sulla popolazione della diffusione del virus se l’indice di trasmissione avesse raggiunto e superato il valore di due.  Il Ministro Speranza, il professore Brusaferro, il dott. Miozzo, il dott. D’Amario sono a conoscenza del Piano Covid e degli scenari di previsione. 

La consapevolezza è documentata dal fatto che il Comitato tecnico scientifico (Cts) e il ministro Speranza prendono la decisione di segretare il Piano per non allarmare l’opinione pubblica. Circostanza di cui sono a conoscenza i vertici di regione Lombardia (Fontana, Gallera e Cajazzo) che sono quindi informati sulla previsione degli scenari e sulla decisione di segretare il Piano Covid». 

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Il secondo elemento che certifica la responsabilità dei vertici nazionali e regionali è la «Conoscenza della gravità della situazione». Infatti, si legge nella relazione, «già al giorno 27.02.2020 e al più tardi il giorno 28.02.2020 l’indice di trasmissione aveva raggiunto e superato il valore di due. Informazione di cui sono in possesso sia gli organi decisionali nazionali sia quelli di regione Lombardia, come documentato dalle informazioni ufficialmente trasmesse dai rispettivi consulenti tecnici e scientifici». 

Infine il terzo elemento: «La diffusione del contagio non lasciava dubbi sul fatto che le azioni intraprese non stavano avendo effetto, ciononostante per 17 giorni non vengono prese azioni più restrittive peraltro previste dal Piano Covid e normate dal decreto legge del 23.02.2020». 

La ragione per la quale azioni più tempestive e più restrittive non siano state prese la fornisce l’allora presidente del consiglio Giuseppe Conte: «Quando nella riunione del 02.03.2020 afferma che la zona rossa va utilizzata con parsimonia perché ha un costo sociale politico ed economico molto elevato».

La consulenza conclude con toni amari: «Queste considerazioni hanno prevalso sulla esigenza di proteggere gli operatori del sistema sanitario nazionale e i cittadini dalla diffusione del contagio».

Gli scenari ignorati

Al tempo della prima ondata così come oggi molti giustificano gli errori di quelle settimane. «Siamo stati colti di sopresa», «abbiamo affrontato un nemico sconosciuto», «è umano sbagliare lottando contro ciò che non si era mai conosciuto prima, perché si procede a tentoni», è la versione della maggioranza. Ma è davvero così?

A leggere le pagine delle consulenza della procura no. Esistevano degli scenari che se presi in considerazione potevano condurre regione e governo a scelte più rapide a partire dal mese di febbraio. Perché è alla fine di questo mese che bisognava agire e non è stato fatto.

«L’11 febbraio 2020 l’Iss (Istituto superiore di Sanità) chiedeva al professor Merler di elaborare degli scenari di diffusione del virus per valutare l’impatto sul sistema sanitario e sulla popolazione», è scritto nella consulenza. Stefano Merler è un matematico rinomato nel mondo accademico, lavora con la fondazione di Trento Brun Kessler. Gli scenari prodotti da Merler oltreché dimostrarsi puntuali davano soluzioni di contenimento precise. Poteva essera una bussola utile a navigare in un mare in tempesta. 

Nella consulenza si legge: «Il 12 febbraio 2020 questi scenari furono illustrati in una riunione a cui partecipava anche il ministro Speranza e mostravano come in presenza di un indice di trasmissione R0=2.6 (basato sulle osservazioni cinesi) l’impatto sul sistema sanitario italiano sarebbe stato devastante in termini di decessi e occupazione dei reparti di terapia intensiva.

Il 17 febbraio il professor Merler presentava diversi scenari di previsione che quantificavano l’impatto dell’epidemia sul sistema sanitario in termini di posti in terapia intensiva e decessi in funzione di diversi valori di Rt. Il modello presentato indicava anche che per mitigare l’impatto bisognava arginare la diffusione del virus applicando tempestivamente rigide misure di distanziamento sociale, “zona rossa”».

Merler è convocato dal Cts il 20 febbraio 2020 per presentare un piano Covid, per dare una risposta progressiva calibrata sull’indice di trasmissione del virus. I consulenti lo spiegano così: «Il Piano Covid includeva un approccio empirico per inferire il valore di Rt, l’intervallo di tempo tra il caso n.1 e il caso n.1000. Più è breve questo intervallo, maggiore è il valore di Rt.

Nel caso di Rt=2 l’intervallo tra il caso 1 e il caso 1000 era stimato in 38 giorni. Lo scenario con valori di Rt uguali o superiori a 2 mostrava come il sistema sanitario italiano fosse totalmente impreparato in termini di posti letto nei reparti di malattie infettive e terapia intensiva e prevedeva che si sarebbe verificato un numero elevatissimo di decessi (circa 35.000 ricoverati in terapia intensiva). La drammaticità delle previsioni delineate negli scenari del Piano Covid indusse il Cts e il ministro Speranza a segretare il piano stesso».

Dal Cts a Fontana

Arriviamo così al 26 febbraio 2020. In Lombardia i contagi seguivano un andamento crescente. Eppure, secondo i consulenti, gli scenari di Merler che si dimostrano ogni giorno più azzeccati, vengono praticamente ignorati. «Il giorno 26.02.2020 il Cts esaminava la possibilità di estendere le misure di distanziamento sociale “zona rossa” ad altri comuni della Lombardia. 

Nonostante il crescente numero di casi confermati in diversi comuni di quella regione il Cts non riteneva che fosse necessario creare nuove zone rosse. Il giorno 27.02.2020 il Cts ha tutte le informazioni necessarie per calcolare che il numero critico di 1.000 casi si sarebbe raggiunto con 29 giorni di anticipo rispetto alla previsione effettuata con indice di trasmissione Rt=2. Il Cts nei giorni successivi ribadiva la necessità di secretare il Piano Covid e in effetti a partire dal giorno 12.03.2020 il piano non veniva più menzionato in nessun atto del Cts».

Oltre al Cts gli scenari catastrofici disponibili a fine febbraio erano noti ai vertici di regione Lombardia. Le testimonianze raccolte dai pm «non lasciano dubbi sul fatto che Attilio Fontana, Giulio Gallera e Luigi Cajazzo (presidente della regione, assessore al welfare e direttore generale) fossero costantemente informati sulla dinamica dei contagi e che fossero a conoscenza degli scenari presentati da Merler al Cts a febbraio 2020 e le conseguenze sul sistema sanitario nazionale e la popolazione nel caso in cui il valore di Rt avesse raggiunto o superato il valore di 2».

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Non solo, «Il giorno 28.02.2020 gli organi tecnici di Regione Lombardia informano Gallera che il valore dell’indice di trasmissione del virus nella regione ha raggiunto e superato il valore di 2. Il Presidente Fontana lo stesso giorno inviava una lettera al Cts con allegata la documentazione che confermava per la Lombardia il valore di Rt= 2 e invece di chiedere l’istituzione della zona rossa per ogni comune con casi positivi raccomandava di mantenere le blande misure di distanziamento sociale già in essere (molto inferiori per efficacia alla zona rossa) per la settimana successiva a partire dal 29.02.2020.

Da notare che il giorno 28.02.2020 il prof. Merler in un messaggio di posta elettronica indirizzato a Direzione Generale Lombardia confermava che l’indice di trasmissione Rt aveva superato il valore di due e allegava una previsione catastrofica in termini di casi gravi e occupazione dei posti di terapia intensiva che confermava gli scenari che avevano indotto il Cts e il Ministro Speranza a secretare il Piano Covid», scrivono i consulenti della procura.

Governo e regione sapevano. Tutti erano al corrente della valanga che si stava per abbattere in Lombardia, in particolare in provincia di Bergamo. E tutti hanno aspettato e perso giorni preziosi per arginare il virus nella sua prima variante più mortale. Per poi esercitarsi nell’arte dello scaricabarile.

Il piano pandemico e Speranza

Nelle ottanta pagine della consulenza tecnica del professor Crisanti per la procura di Bergamo (corredata da moltissimi allegati e documenti agli atti dell’inchiesta) c’è anche una ricostruzione dettagliata dei motivi che hanno portato l’allora Ministro della Salute, Roberto Speranza, a scartare il piano pandemico vigente e a commissionarne uno ad hoc sul covid. Si parte dall’inizio. «L’allerta inviata da OMS nella quale si segnalano 44 casi di polmoniti gravi di origine sconosciuta, che avrebbe dovuto far scattare la fase 3 livello 1, arriva al Ministero della Sanità il giorno 5 gennaio» scrive Crisanti.

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 19-01-2021 Roma Politica Senato - Comunicazioni del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte sulla situazione politica Nella foto Giuseppe Conte, Roberto Speranza Photo Roberto Monaldo / LaPresse 19-01-2021 Rome (Italy) Senato - Communications by Prime Minister Giuseppe Conte on the political situation In the pic Giuseppe Conte, Roberto Speranza

Quel giorno è mercoledì la vigilia dell’Epifania. Il consulente tecnico aggiunge: «Un lungo ponte attende i dipendenti del Ministero e il documento di allerta è recepito in una nota trasmessa dall’ufficio V della Prevenzione del Ministero alle Regioni e a una serie di uffici competenti il giorno 9 gennaio. Nella nota ministeriale si ribadisce l’indicazione di fare riferimento alle misure approntate per contenere l’influenza. Il Piano Pandemico Nazionale tuttavia non sarà attivato in quella occasione e sarà sostanzialmente ignorato dalle autorità predisposte a fronteggiare la pandemia durante i mesi successivi».

Nella relazione è citato poi Roberto Speranza:«Il Ministro della Sanità in una dichiarazione spontanea resa a questa procura ribadisce quanto affermato in un suo libro (poi ritirato prima della pubblicazione) che l’Italia ha affrontato l’epidemia senza manuale di istruzione. Dichiarazione in contrasto con il fatto che l’Italia avesse un Piano Pandemico incardinato in una legge dello stato. Sempre il Ministro Speranza afferma che il Piano Pandemico non venne adottato poiché il piano “era datato e non costruito specificamente su un coronavirus ma su un virus influenzale».

A tal proposito Crisanti rimanda all’audizione del ministro davanti ai pm di Bergamo. «Sempre il Ministro Speranza – si legge nella consulenza – chiarisce che la valutazione di fondo è stata che il coronavirus non era un’influenza ma un virus diverso e che quindi non fosse sufficiente un approccio statico, cioè esclusivamente fondato su un documento, tra l’altro in corso di aggiornamento, ma che fosse necessario avvalersi di quel tavolo di confronto (Task force) e di strumenti nuovi e diversi più specificamente adatti al nuovo virus che ci si trovava a dover affrontare.

Infatti ben presto i nostri organismi tecnici prima nella task force e poi nel Cts, valutarono la necessità di avvalersi e di definire un approccio alla crisi del coronavirus specifico, come emerge dai verbali del Cts». Il governo, infatti, commissionò agli esperti un piano ad hoc, cosiddetto piano Covid, che venne però secretato e mai ufficialmente adottato.

Leggendo la consulenza tecnica emergono altri dettagli: «Il virus Sars-CoV-2 che ha generato la malattia denominata Covid-19, non è un virus influenzale tuttavia, sull’applicabilità del piano depongono una serie di elementi. Il Piano Pandemico Nazionale era l’unico documento operativo a disposizione allineato con le direttive Oms (Organizzazione mondiale della sanità) che conteneva ben dettagliate una serie di azioni rivelatesi poi fondamentali per contrastare la diffusione di una malattia a diffusione respiratoria.

Molte di queste azioni si erano già dimostrate efficaci in passato per bloccare la diffusione dei virus respiratori SARS-COV-1 e MERS molto simili a coronavirus», scrive Crisanti.

Il consulente dei pm di Bergamo entra poi nel merito: «Il documento pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) “Infection prevention and control of epidemic and pandemic prone acute respiratory infections in health care”, identificava (a pag. 31) la Sars e le malattie da coronavirus come infezioni respiratorie acute gravi, equiparate a quelle causate dall’influenza, e segnalava, come misura di preparazione, l’implementazione del piano pandemico influenzale. L’Oms correttamente prevedeva la possibilità di pandemie causate da virus a trasmissione respiratoria differenti da quelli influenzali e identificava nelle misure di prevenzione, contrasto e controllo dei piani pandemici influenzali lo strumento adeguato a mitigare l’impatto della pandemia di questi virus sui sistemi sanitari e sulla popolazione».

In sostanza, secondo Crisanti, quelle misure poi rilevatesi efficaci per bloccare la trasmissione di SARS-Cov2 (l’utilizzo dei Dpi, il distanziamento sociale e la quarantena e la sorveglianza) sono identiche a quelle per contenere l’influenza, «ne è prova il fatto che  durante la stagione autunno invernale 2020-2021 in coincidenza con l’applicazione delle misure di contrasto alla diffusione di SARS-Cov2 è stata praticamente bloccata la diffusione dell’influenza stagionale».

False testimonianze

Ma c’è un altro fatto rilevante che la consulenza porta a galla e che coinvolge vertici sanitari e ministeriali del nostro paese. «Il Prof. Silvio Brusaferro (presidente dell’Istituto Superiore della Sanità, ndr) senza aver preventivamente esaminato e valutato il Piano Pandemico Nazionale (letto soltanto a maggio del 2020) utilizza la sua posizione di membro della task force e del Cts per far approvare una proposta alternativa. Lo stesso Prof. Brusaferro mente a questa procura quando afferma che nessuno prima di maggio 2020 gli avesse sottoposto il Piano». 

Crisanti argomenta questa pesante affermazione allegando una mail agli atti dell’inchiesta: «Il Piano gli era stato inviato dal Dott. Maraglino (a capo dell’ufficio V del dipartimento di prevenzione del Ministero della salute, ndr) per posta elettronica il giorno 11 Febbraio. Lo stesso Maraglino nel messaggio di posta elettronica riferendosi agli allegati cita la riunione avvenuta il giorno prima».

Foto Claudio Peri/LaPresse

Secondo il consulente tecnico della procura di Bergamo Brusaferro non sarebbe l’unico ad aver mentito agli inquirenti. «Le stesse considerazioni valgono per Agostino Miozzo coordinatore del Cts che afferma di essere consapevole dell’esistenza di un Piano Pandemico e trascura di esaminarlo nonostante fosse stato portato alla sua attenzione sempre dal Dott. Maraglino il giorno 11 Febbraio. Anche il Dott. Miozzo mente quando afferma che non gli era stato sottoposto il piano».

Infine Crisanti tira in ballo un altro membro influente del Cts: «Andrea Urbani, Direttore Generale della Programmazione Sanitaria, ascoltato sulla mancata attuazione del Piano Pandemico 2006 alla domanda sul perché nel gennaio/febbraio 2020 non si fosse deciso di azionare il piano pandemico del 2006 risponde “non ricordo se nel gennaio e febbraio del 2020 qualcuno disse della presenza del piano pandemico e della sua eventuale attuazione” e precisa a proposito del piano pandemico “non ne conoscevo l’esistenza”.  Anche Urbani è tra i destinatari del messaggio di posta elettronica del giorno 11 Febbraio inviato dal Dott. Maraglino con allegato il Piano Pandemico Nazionale 2006. Anche lui mente alla procura».

Alla fine il piano pandemico del 2006, che secondo l’Oms si sarebbe dovuto attivare a partire dal 5 gennaio 2020, rimase nel cassetto e quello stilato ad hoc per il covid restò lettera morta, anche perché non venne mai condiviso con le regioni e con coloro che avrebbero dovuto applicarlo.

Brusaferro insieme all’ex ministro Speranza, come risulta dall’avviso di conclusione indagine, sono indagati per epidemia colposa relativamente alla mancata applicazione del piano pandemico. Brusaferro in particolare per i pm è indiziato per «aver proposto di non dare attuazione al piano pandemico, prospettando azioni alternative, così impedendo l’adozione tempestiva di misure in esso previsto». 

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