Attilio Fontana è di nuovo presidente, incoronato per la seconda volta di fila governatore della Lombardia. C’è poco da festeggiare, tuttavia. In Lombardia su 8 milioni di aventi diritto sono andati a votare meno della metà, il 41 per cento, ossia 30 punti in meno di affluenza rispetto al 2018.

La disaffezione colpisce in generale i partiti, ma è un segnale chiaro per chi ha governato gli ultimi cinque anni. Perché vuol dire che del 70 per cento andato a indicare la preferenza nel 2018, un 30 per cento abbondante è rimasto a casa, e una buona parte di questi avevano scelto Fontana e il suo partito, la Lega di Matteo Salvini. «Vittoria», ha scritto sui social il segretario della Lega. Vittoria monca, ottenuta con quasi la metà di lombardi rimasti a casa o sulle piste da sci.

Ed è anche consapevole, Salvini, che il disastro dietro le luci del trionfo porta la sua firma.La Lega rispetto alle elezioni regionali del 2018 ha perso quasi 12 punti, sprofondando intorno al 17 per cento, il partito di Berlusconi dal 14 è passato al 7 per cento.Meloni surclassa Salvini sfiorando il 26 per cento, un balzo enorme dal 3 per cento delle scorse regionali. Questo non basta a smorzare la gioia di Fontana, «felice perché i lombardi hanno capito il nostro lavoro». Incredibile ma vero.

Slalom tra gli scandali

Indagini e scandali vari hanno reso per certi aspetti unici i cinque anni della prima giunta Fontana e della Lega salviniana, che nel 2018 si apprestava, forte del risultato elettorale delle politiche, a governare con i 5 stelle costituendo il primo governo Conte. Era l’anno d’oro di Matteo, l’apice del successo fino all’oltre 30 per cento delle europee del 2019. Poi il rapido declino con il misero 8 per cento delle ultime elezioni politiche del 2022. Se da un lato il leader della Lega faceva parlare di sé per i suoi rapporti e quelli di alcuni suoi fedelissimi con la Russia di Vladimir Putin, Fontana non ha voluto essere secondo a nessuno.

In piena pandemia il presidente è stato travolto da due indagini. La prima nota come il caso camici: una partita di dispositivi di protezione individuali acquistati dalla regione dalla società del cognato e della moglie di Fontana. Acquisto poi trasformato in donazione. La storia intrecciata a interessi di famiglia è senza alcuna rilevanza penale, hanno stabilito i giudici che hanno prosciolto Fontana. Resta la questione di opportunità politica sul conflitto di interessi. Dalla vicenda camici è scaturita l’inchiesta sui conti svizzeri del presidente sui quali era confluita l’eredità della madre di 5 milioni di euro. Nessun reato, hanno sentenziato i pm, sottolineando però che non hanno potuto svolgere un lavoro approfondito perché le autorità svizzere non hanno collaborato più di tanto. Il conto con l’eredità è ancora in Svizzera, gestito da una fiduciaria italiana. Perché non riportarlo in patria?

La gestione della pandemia è un capitolo spinoso per Fontana. L’indecisione iniziale sulle chiusure, le delibere sugli anziani malati da mandare nelle residenze per anziani, la linea aperturista di Salvini che ha condizionato indubbiamente il mandato della giunta in quelle settimane della prima ondata del 2020. A Bergamo c’è l’indagine sulla mancata zona rossa in Val Seriana, trasformato in focolaio mortale da scelte politiche che hanno lasciato il virus libero di circolare. I pm bergamaschi avrebbero dovuto chiudere l’indagine alcuni mesi fa. Ma alla fine probabilmente la procura lo fara dopo il voto. Non sappiamo che esiti avrà, di certo, come raccontato da Domani, alcuni documenti dimostrano che la giunta Fontana avrebbe potuto chiudere la Val Seriana già a partire da fine febbraio 2020 sulla base dei dati drammatici in possesso dei vertici. Al di là dei risvolti giudiziari, è probabile che la gestione confusa della prima ondata della pandemia abbia convinto qualche elettore di Fontana e Salvini a farsi un giro in montagna piuttosto che recarsi alle urne di domenica e lunedì per ridargli fiducia.

 

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