La licenza petrolifera offshore nigeriana OPL 245 è scaduta ed Eni e Shell non potranno così sfruttare uno dei più ricchi nuovi giacimenti africani, che si stima possa custodire almeno 560 milioni di barili di greggio. È la stessa multinazionale italiana ad ammetterlo, rispondendo a una domanda posta dall’associazione ReCommon durante l’assemblea degli azionisti dello scorso 12 maggio (pag. 34 e 35 di questo documento).

La licenza è scaduta lo scorso 11 maggio, dieci anni dopo che Eni e Shell l’avevano acquistata per 1,3 miliardi di dollari in quello che rimane un affare molto controverso, segnato da uno strascico di indagini e processi. Proprio l’esistenza di procedimenti in corso in diverse giurisdizioni, tra cui l’Italia, ha convinto il governo nigeriano a non autorizzare alcuna operazione e a far prendere atto alle due società che i diritti sono scaduti.

Va però ricordato che al processo di primo grado a Eni e Shell e a vari loro manager, conclusosi a Milano lo scorso 17 marzo, tutti gli imputati sono stati assolti perché il fatto (cioè la corruzione internazionale contestata dalla procura) non sussiste. Entro metà giugno saranno rese note le motivazioni della sentenza e si saprà, quindi, se la procura procederà con una richiesta d’appello.

OPL 245 è stato registrato come uno degli asset iscritti al bilancio del 2020 della stessa Eni, ma la società riconosce che potrebbe essere necessario rivalutare la sua posizione il prossimo anno. La Shell ha svalutato il 50 per cento dell’asset in suo possesso già nel suo bilancio del 2020. 

Nel 2018, l’Eni aveva richiesto all’esecutivo di Abuja di convertire i diritti esplorativi in una nuova licenza mineraria per iniziare l’estrazione del greggio. Il presidente Muhammadu Buhari aveva respinto la richiesta e dichiarato che nessuna ulteriore corrispondenza sarebbe stata considerata fino a quando i procedimenti giudiziari penali e civili a Milano e Londra relativi all’affare del 2011 non fossero stati conclusi.

Dopo la risposta di Buhari, anche le controllate locali di Eni e Shell sono state accusate in Nigeria di corruzione in merito alla conclusione dell’affare. Le due società hanno negato ogni addebito, mentre il processo che le riguarda è iniziato dopo l’avvenuta estradizione da Dubai dell’ex ministro della Giustizia della Nigeria, Mohammed Adoke, ed è ancora in corso all’Alta Corte di Abuja.

Nel frattempo, l’Eni ha presentato un reclamo al Centro Internazionale per la Risoluzione delle Controversie sugli Investimenti (Icsid) a Washington, pretendendo dalla Nigeria un risarcimento per la mancata conversione della licenza. La compagnia sostiene che «è legalmente certo che l’Eni aveva maturato il diritto alla conversione» e sostiene che la strategia legale della Nigeria è guidata da «interessi inconfessabili».  

Al momento il presidente del collegio arbitrale non è stato ancora selezionato e non è chiara la posizione del tribunale internazionale rispetto ai procedimenti in corso in Italia e in Nigeria. «Con questa decisione, la Nigeria ha dimostrato che la legge è uguale per tutti», ha affermato Antonio Tricarico di ReCommon.

«Sarebbe stato sbagliato convertire la licenza con procedimenti ancora in corso a Milano e Abuja su un affare che rimane controverso. Eni e Shell devono prendere atto che la licenza è scaduta e che non possono più sfruttare il giacimento. Ci auguriamo che anche l’ICSID rispetti la sovranità delle corti italiane e nigeriane e attenda la fine dei processi in corso», aggiunge Tricarico.

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