Poli opposti. Si parla del mondo del tifo calcistico come se fosse una realtà monolitica e invece i fatti ci raccontano di una composizione variegata. E non si tratta nemmeno di distinguere tra segmenti moderati e segmenti radicali di questo micocosmo. Perché anche i singoli segmenti possono presentare diverse espressioni, fra loro non conciliabili.

Prendete come esempio le espressioni del radicalismo tifoso. Si è portati a indentificarlo con l’azione delle frange più dure, e al limite violente, delle curve da stadio. E invece esistono altre forme di passione hard core, non cruente ma non meno irriducibili. E in questo senso i social, con la loro propensione a fornire una tribuna agli eccessi, sono un termometro formidabile.

Grazie a essi abbiamo scoperto l’esistenza di una crescente massa critica di tifo radicalmente aziendalista, un esercito di ragionieri di complemento che godono per una plusvalenza più di quanto farebbero per l’arrivo di un centravanti, pronti a fare la ola se leggono di un’impennata del patromonio netto. Pasdaran delle proprietà, groupie di direttori generali e amministratori delegati.

Si tratta di due modi inconciliabili di essere tifosi, forse nemmeno nelle condizioni di dialogare vista la differenza pressoché antropologica fra i due tipi. Da una parte c’è un integralismo identitario che non ammette mediazioni e sta lì pronto a fare le barricate nel caso che la società compia una mossa di mercato non conforme . Dall’altra c’è il tifo del realismo capitalista, quello per cui il vero colore della maglia è l’inchiostro nero dei conti annuali.

Chiunque ma non lui

Diciamo la verità: a volte le società pare lo facciano persino apposta. Nel senso che vanno quasi a stuzzicare la vena identitaria della loro tifoseria per vedere fino a che punto reagisca, e dunque quanto ancora ci si possa spingere in avanti nel provocarla.

Questa sessione estiva di calciomercato ci sta offrendo un esempio emblematico: l’intreccio sulla rotta Inter-Juventus che coinvolge Romelu Lukaku e Juan Cuadrado. Entrambi al centro di polemiche dopo uno dei confronti più aspri fra bianconeri e nerazzurri  degli anni recenti (e fra l’altro si fa fatica a trovarne uno non avvelenato da polemiche): la semifinale d’andata di Coppa Italia giocata lo scorso 4 aprile allo Stadium, finita in rissa generale dopo essersi conclusa 1-1.

Fra i protagonisti principali di quella rissa è stato proprio Cuadrado, che per questo motivo ha ricevuto un cartellino rosso e tre giornate di squalifica. E l’aspetto più beffardo è che le due residue gare di stop dovrà scontarle da giocatore dell’Inter dopo essersele guadagnate in uno scontro rusticano contro un plotone di interisti.

La temperatura di quella gara era stata elevata anche dai cori razzisti dello Stadium nei confronti di Romelu Lukaku, che dopo avere segnato il rigore del pareggio per l’Inter ha fatto il gesto di zittire la curva juventina e per questo è stato anche lui espulso (e successivamente graziato dal presidente federale Gabriele Gravina), con effetto di generare ulteriore tensione.

Che dopo tutto ciò i due calciatori si scambino le maglie – e cioè, che Cuadrado sia già stato acquisito dall’Inter e Lukaku sia in predicato di andare alla Juventus – è qualcosa che va ai confini della realtà. Ma che cionondimeno sta accadendo, con l’effetto di mobilitare le due tifoserie in opposizione alla realizzazione dei due trasferimenti.

Da parte della Milano nerazzurra, Cuadrado è stato già accolto con una protesta sotto la sede sociale e richiesta di chiarimento. E ancor più clamoroso sarebbe vedere Lukaku in bianconero, con la prospettiva di andare a esultare sotto la curva che soltanto tre mesi fa lo aveva bersagliato di insulti razzisti.

Curva che dal canto suo non lo vuole proprio e preannuncia contestazioni anch’essa. Di fatto si tratta di tentativi d’ingerenza nelle politiche di calciomercato. Il che non succede nemmeno per la prima volta, dato che esistono casi storici di trasferimenti saltati a causa dell’opposizione delle curve. Ma stavolta si va oltre, perché davvero non si ha memoria di un tale scambio di maglie fra i due Grandi Antipatici.

Le Brigate Mark Fisher

Sul versante opposto stanno appollaiati quelli che hanno assunto il realismo capitalista come codice di interpretazione e comportamento. Li avrebbe osservati con interesse il filosofo britannico Mark Fisher, che con la formula citata descrisse l’atteggiamento supino di chi non vede alternative all’orizzonte ideologico del capitalismo e alla sua gelida razionalità.

Sono i tifosi che recitano un ruolo da aziendalisti pur non essendo parte dell’azienda, che hanno quasi smesso di tifare per la squadra perché danno il cuore (e la bile) per la società, che lasciano perdere le azioni da campo per fare attenzione alle azioni dei pacchetti di maggioranza. Ci capita spesso di leggere esclamazioni del tipo “comprala te!” in risposta a ogni contestazione verso le politiche da braccino corto di una società calcistica.

E il senso dell’esclamazione sta nello schierarsi dalla parte della parsimonia, con invito ai contestatori affinché si frughino nelle tasche e finanzino con fondi propri il rafforzamento della squadra. Ma capita che si vada anche oltre, quando si arriva all’esaltazione delle plusvalenze come se comportassero un arricchimento collettivo per la tifoseria anziché per la società e i suoi azionisti (palesi e occulti, agenti compresi).

Nelle scorse settimane ci è capitato di leggere, sul sito Calcio Casteddu” dedicato al Cagliari, un commento dedicato alla  cessione di Guglielmo Vicario (ex calciatore della società  sarda) dall’Empoli al Tottenham Hotspur. Riprendendo le dichiarazioni del presidente empolese Fabrizio Corsi, che vantava la plusvalenza per la società toscana, un internauta tifoso del Cagliari gli ha rinfacciato che «ci abbiamo guadagnato noi, non tu» perché, secondo il suo ragionamento, fra i dieci milioni di euro incassati per la cessione all’Empoli e la percentuale sulla successiva vendita la società sarda incasserebbe più di quella toscana.

Un vero godimento. Il Cagliari ha perso di avere con sé il più forte portiere italiano dell’ultima generazione, ma per qualcuno ciò che conta è avere incassato più dell’Empoli. Il realismo capitalista è servito. Magari è passione anche questa, per chi sa coglierla.

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