Il ministro Urso incolpa la magistratura di aver autorizzato in ritardo gli interventi di messa in sicurezza dell’altoforno 1, dopo un incendio avvenuto il 7 maggio. Con un altoforno in meno, gli obiettivi di produzione diventano irraggiungibile. L'azienda raddoppia il ricorso agli ammortizzatori sociali, da circa 2mila a 4mila. Si raffredda la trattativa con Baku Steel, i commissari di AdI cercano alternative. Fiom: si rischia il fallimento
La crisi dell’ex Ilva di Taranto si aggrava, trascinando il colosso siderurgico italiano verso un baratro che minaccia non solo migliaia di posti di lavoro, ma l’intero sistema industriale del Paese. Acciaierie d’Italia (AdI) ha annunciato oggi la richiesta di cassa integrazione per un massimo di 5.500 lavoratori, pari alla metà dell’organico del gruppo, con un impatto devastante soprattutto sullo stabilimento di Taranto. La decisione, comunicata ai sindacati metalmeccanici convocati stamane, è la diretta conseguenza del sequestro dell’altoforno 1, disposto dalla Procura di Taranto dopo l’incendio dello scorso 7 maggio, e del crollo della produzione di acciaio, già ai minimi storici. A questo si aggiunge l’incertezza sulla trattativa con Baku Steel, l’azienda azera che sembrava rappresentare l’ultima speranza per il rilancio dell’impianto, ma che ora potrebbe ritirarsi.
Cassa integrazione: 3.926 lavoratori coinvolti
Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria ha comunicato ai sindacati la richiesta di cassa integrazione per 3.926 lavoratori, di cui 3.538 nello stabilimento di Taranto, a seguito del dimezzamento della produzione causato dal sequestro dell’altoforno 1, disposto dalla Procura dopo il grave incendio del 7 maggio, innescato dallo scoppio di una tubiera. La cassa integrazione riguarderà anche 178 lavoratori del sito di Genova, 165 dello stabilimento di Novi Ligure e 45 di quello di Racconigi. La misura, che supera il tetto di 3.062 cassintegrati a rotazione stabilito nell’accordo del 4 marzo al ministero del Lavoro, richiede una nuova negoziazione con i sindacati, un processo che si preannuncia complesso data la crescente tensione tra le parti.
Fino a oggi, a Taranto la cassa integrazione coinvolgeva circa 2.000 lavoratori, ma il crollo produttivo ha reso inevitabile un incremento significativo. Michele De Palma, segretario generale della Fiom, ha sottolineato la criticità della situazione: «Siamo tornati al punto in cui o ci si assume tutti la responsabilità e si garantiscono investimenti, o a rischio non è solo l’occupazione, ma la tenuta dell’industria metalmeccanica italiana». De Palma ha chiesto trasparenza sulla reale condizione dell’azienda e interventi urgenti per mantenere la produzione, avvertendo che senza un piano di rilancio produttivo e decarbonizzazione, l’ex Ilva rischia il fallimento.
L’incendio e il sequestro
L’incidente del 7 maggio ha segnato un punto di svolta nella travagliata vicenda dell’ex Ilva. L’incendio all’altoforno 1 ha spinto la Procura di Taranto a disporre un sequestro probatorio senza facoltà d’uso, bloccando l’impianto. Secondo Acciaierie d’Italia, la Procura avrebbe autorizzato con ritardo – solo sabato pomeriggio – gli interventi urgenti richiesti per mettere in sicurezza l’altoforno, interventi che, a detta dell’azienda, avrebbero dovuto essere eseguiti entro 48 ore dall’incidente. I lavori, iniziati solo lunedì, potrebbero non essere sufficienti a salvare l’impianto. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha definito l’altoforno 1 “verosimilmente compromesso”, sottolineando come i ritardi autorizzativi abbiano aggravato una situazione già critica.
Con l’altoforno 1 fuori gioco e solo l’altoforno 4 operativo, la produzione di acciaio a Taranto è destinata a ridursi ulteriormente. Nel 2024, l’ex Ilva ha prodotto appena 2 milioni di tonnellate, contro i 4 milioni previsti per il 2025. Ora, anche questo obiettivo appare irrealizzabile, spingendo l’azienda a ricorrere a una cassa integrazione su vasta scala.
Trattativa in bilico
A complicare il quadro, la trattativa con Baku Steel, l’azienda azera che a febbraio aveva annunciato l’acquisizione dell’ex Ilva, sembra essere in stallo. L’incidente all’altoforno 1 e le incertezze sulla capacità produttiva dello stabilimento hanno raffreddato l’interesse degli investitori azeri. Secondo alcune fonti, Baku Steel starebbe valutando di ritirarsi, mentre i commissari di AdI avrebbero avviato contatti con il colosso cinese Baosteel per sondare alternative.
Il ministro Urso ha cercato di rassicurare: “Il negoziato è in corso, siamo sui nodi cruciali e andiamo avanti con determinazione”. Tuttavia, ha lanciato un appello alla responsabilità di tutte le parti coinvolte – autorità locali, nazionali e sindacati – affinché collaborino per evitare il collasso: “Se remiamo tutti nella stessa direzione, possiamo raggiungere l’obiettivo di un’Ilva che contribuisca all’autonomia strategica italiana ed europea nella siderurgia, con la decarbonizzazione a tutela di ambiente e salute”. Ma il tempo stringe, e la situazione dell’ex Ilva è sempre più drammatica.
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