Nell’inchiesta sulla fondazione Open di Matteo Renzi ci sono documenti che svelano i dettagli della macchina della propaganda renziana. Carte depositate utili per i magistrati per dimostrare quanto Open fosse in realtà un’articolazione della corrente interna al Partito democratico che faceva capo all’ex presidente del Consiglio.

Parallelamente alla “Bestia”, la macchina di propaganda della Lega, c’era un’altra struttura che si muoveva in sordina, forse anche perché meno efficace, ed è quella messa in piedi dall’altro Matteo. Una strategia, seppure con toni diversi ma con un organizzazione “militare” simile. I faldoni dell’inchiesta della procura di Firenze sulla Fondazione Open, accusata di aver ricevuto finanziamenti illeciti e di aver agito come una vera e propria «articolazione di partito», svelano il metodo usato dalla squadra del senatore fiorentino per la campagna social in favore del “sì” per il Referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.

L'incontro a Palazzo Chigi

Tiberio Barchielli

Quello che emerge dalle centinaia di email scambiate tra l’ex presidente del Consiglio e i suoi collaboratori è una macchina composta da diversi ingranaggi, organizzata e formata da diverse piattaforme, pagine Facebook, analisti di dati, e addetti alla creazione di profili social falsi. Per sviluppare la sua strategia social Renzi si è affidato a uno dei suoi più grandi amici: l’imprenditore toscano Marco Carrai. Sarebbe stato lui a procurare i contatti con due società di analisi dati: Tracx e Voyager, come scritto dal Fatto Quotidiano il 10 novembre.

Quest’ultima è stata fondata da Avi Korenblum, che ha lavorato nell’intelligence israeliana, e come spiegato da Carrai in una mail indirizzata allo stesso Renzi l’azienda ha ideato un «software che riesce a mappare ogni singola persona o gruppo sociale eliminando i fakes e individuando chi sono i loro influencer».

Il costo dell’operazione con gli esperti israeliani in favore del “sì” si aggira attorno alle centinaia di migliaia di euro (secondo il Fatto quotidiano sono 260mila). Una cifra considerevole. Ma non è l’unica, secondo alcuni bilanci presenti tra i documenti dell’inchiesta, il capitolo di spesa della macchina social supera gli oltre 931mila euro. Gran parte dei quali pagati dalla Fondazione Open e proprio per questo interessano la magistratura.

Per impostare il progetto di analisi dati gli israeliani sono venuti a Roma da Tel Aviv il 6 giugno del 2016 per incontrare proprio Carrai e sembrerebbe anche lo stesso Renzi, visto che successivamente l’imprenditore scrive al leader di Italia Viva: «Dopo che siete usciti siamo entrati nell’operativo». L’incontro sembrerebbe avvenuto a Palazzo Chigi come emerge dai messaggi scambiati tra Carrai e il suo socio Giampaolo Moscati.

«Il 6 sono a Roma (aspetto da te cosa facciamo) intanto da Tel Aviv arrivano e gli ho detto 10:30» scrive Moscati. La risposta di Carrai non ha equivoci: «Intanto ci vediamo lunedì alle 10.30 a palazzo chigi». A quel punto Moscati informa un certo Avi «We’ll meet in Rome, Palazzo Chigi, next monday at 10:30. Please send to Marco the names for the pass».

Un incontro nella sede del governo con l’obiettivo di indirizzare il risultato del referendum costituzionale che sarebbe avvenuto da lì a pochi mesi. Una riunione proficua e a confermarlo è lo stesso Carrai che in una mail a Renzi scrive: «Dobbiamo partire perché abbiamo una Ferrari e contrastare la campagna dei 5stelle che sotto questo aspetto ci fa il culo per ora. Riescono come hai detto te a far diventare vero il virale perché nessuno li contrasta da questo punto di vista. È come una guerra di informazione che per ora noi non stiamo combattendo».

Ma le due società di analisi dati (Tracx e Voyager) da sole non bastano a vincere questa “guerra di informazione”. Va costruito un «team ristretto composto da un esperto di psicologia cognitiva e delle decisioni sia di consumo che politiche, un esperto di scelte di voto e di movimenti elettorali in corso d’opera, un esperto di social e di diffusione delle opinioni sul web, un esperto di media», dice Carrai. E la squadra al completo viene creata tra Roma e Firenze.

I collaboratori di Via Giusti

A Firenze era attivo in via dei Giusti un gruppo di collaboratori che si occupava principalmente della campagna social “unofficial”, ovvero quella condotta attraverso profili non riconducibili allo stesso Renzi o al Partito democratico.

Alcuni di loro sono stati interrogati dalla procura e hanno spiegato nel dettaglio le loro mansioni. Uno di loro, che afferma di aver avuto un contratto co.co.co con la fondazione Open percependo uno stipendio di 1.700 euro al mese, conferma anche di aver usato profili fake per fare propaganda politica: «Quando condividevamo i vari contenuti Facebook ognuno di noi creava dei falsi profili per divulgare anonimamente i contenuti».

La macchina di via Giusti conta una decina di persone, sulle quali, però, non sempre ci sono stati chiari rapporti di lavoro. A dimostrarlo è una mail dell’avvocato Bianchi, presidente della Fondazione Open, inviata a Carrai: «La gestione della partita in oggetto è Disastrosa. Quindi per favore mettici la testa, perché rischiamo non solo figuracce con persone che stanno lavorando con noi, ma azioni legali nei confronti di Open...se uno dei nostri collaboratori si rompesse le scatole per come è gestito e ci facesse causa sul tipo di rapporto di lavoro». La mail si conclude con Bianchi che minaccia di chiudere i rapporti con tutti i collaboratori «per la buona ragione che non ho i soldi per pagarli».

Un’altra corrispondenza conferma i ritardi nei pagamenti e alcune mancate risposte. Un ex collaboratore scrive: «Vorrei gentilmente sapere se e come volete procedere al pagamento dei 50mila euro dovuti ai vostri 20 ex componenti del gruppo social fiorentino. La scadenza ultima è il 31 dicembre, sinceramente mi preoccupa la mancanza di interesse e informazioni da parte vostra». Una storia che va avanti «da cinque mesi» e su cui gli ex collaboratori non intendono accettare «ulteriori deroghe o delazioni».

Sull’incontro a Palazzo Chigi con gli israeliani e sui pagamenti dei collaboratori Carrai, contattato telefonicamente, ha preferito non rispondere e dice: «Io ho fatto tutto in modo rispettoso della legge. Di queste cose lascio occuparsene i miei avvocati».

Gli influencer

La campagna si affidava anche a influencer dall’ampia vena creativa. Tra questi rientra l’artista musicale Claudio Dodoi che ha creato un video musical “parodia” ad hoc su Renzi e lo ha inviato al team comunicativo del senatore: «Mi sa che ho superato le aspettative, il finale è perfetto, ci sta anche il “Sì” di 50 Cent!”».

La mail arriva fino a Renzi che dopo aver visto il video risponde: «Mitico. Ma a che caz.. serve?». Carrai: «Siamo dentro comunità di 2/3 milioni di giovani dove li mandiamo». L’obiettivo, però, pare non essere raggiunto visto le sole 63mila visualizzazioni al video pubblicato sul canale Youtube di Dodoi.

Tutto le forze messe in campo non sono state sufficienti: nel referendum ha vinto il “no” e oggi Renzi non è più presidente del Consiglio.

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