L’evento di chiusura della prima giornata del festival di Domani “Il Domani delle donne”, alla Camera di Commercio di Roma si intitola “Scrittura, fumetto e identità femminile”. Ma è Beppe Cottafavi, l’editore che da sempre fiuta le voci fuori posto, che sul palco cambia il titolo in corsa: «Farsi a pezzi», dice.

«Farsi a pezzi per raccontare la propria identità. Fumettibrutti l’ha fatto a partire dal nome che ha scelto. Teresa Ciabatti lo fa da sempre nella scrittura. È un gesto politico, intimo, pubblico: un modo di ricomporsi».

C’è silenzio in sala. Sul palco, la “rockstar” della letteratura italiana, Teresa Ciabatti, e la “stella” del fumetto, Josephine Yole Signorelli, in arte Fumettibrutti. Due donne che hanno scelto di raccontarsi lì proprio lì, nel punto dove tutto si rompe.

Belli e rifatti

«Nel mio ultimo libro “Tutte le mie cose belle sono rifatte” è tutto esplicito», racconta Fumettibrutti. «È un vanto. Nel primo non avevo ancora fatto coming out come donna transgender. Nel secondo ho raccontato la mia adolescenza, universale. Nel terzo, Anestesia, parlo dell’intervento, di quello che ho vissuto davvero. Persino del costo, perché è giusto sapere che con il Servizio sanitario nazionale ci sono persone trans che possono accedere. Poi il lieto fine: tutte le cose che mi sono rifatta sono la mia vita. Sono parecchio rifatta, sì, e va bene così».

Ciabatti la guarda come si guarda una figlia. «Sono innamorata della poetica e dello sguardo di Fumettibrutti» confessa. «Perché ha la stessa ossessione che ho io: i pezzi. L’atto letterario è rimettere insieme i frammenti. Anche Pinocchio è questo: farsi e disfarsi. Diventare bambino e guardare sulla sedia il burattino senz’anima».

Pezzi di esistenza

Un talk così: fatto di ricordi personali, stralci, frammenti. Ciabatti racconta di sua figlia e della bambola “reborn” comprata online. «Mi è arrivata a pezzi. Ciglia da incollare, corpo da dipingere. Ho capito che la letteratura è questo: stare davanti ai pezzi di una bambola e provare a ridarle vita».

Fumettibrutti abbassa la voce. «Durante l’intervento di vaginoplastica ero sicura che fossero andati a pranzo. Durante, capite? È successo. Lo pagate con le vostre tasse, e a me dispiace. Ne ho parlato in terapia, ne ho scritto. Non è solo una questione di corpi, ma di soldi pubblici, di dignità. Ci dobbiamo incazzare, al di là delle vagine andate male, per come vengono trattate le persone».

La conversazione scivola inevitabilmente sull’adolescenza. Il corpo che cambia e sfugge. Cottafavi sospira: «È così difficile essere adolescenti?». «È qualcosa che non hai chiesto», risponde Fumettibrutti: «Gli adulti si dimenticano cosa significa. I ragazzi cercano di scappare dallo sguardo dei genitori. E noi li giudichiamo, li soffochiamo. Diciamo: “Aspetta, accetta il tuo corpo”. Ma non siamo pronti a ciò che succede. Non è semplice essere adolescenti né genitori oggi. Dobbiamo parlarci. E invece tagliamo corto: si è sempre fatto così. È un disastro. Io sono felice di non essere madre in questo momento».

I giovani maschi

Cottafavi si gira verso Ciabatti: «Che c’è da fare coi giovani maschi?». La scrittrice riflette: «Non mi sento di distinguere maschi e femmine. La differenza è tra adulti e giovani. Gli adulti hanno costruito un mondo mostruoso e ora se ne lavano le mani. Dobbiamo prenderci la responsabilità di quello che abbiamo fatto. Dobbiamo rieducarci noi adulti, non loro». Ogni rottura ci obbliga a ricostruirci ma come, chiede Cottafavi, nel finale. Ciabatti risponde piano: «So qual è il mio ruolo. Sostenere i ragazzi, accorgermi di loro. Aiutare a scoprire la bellezza che c’è e che sta nascendo. Il ruolo degli adulti è maieutico: creare spazio perché quella generazione possa parlare».

«Con i più giovani bisogna sporcarsi le mani», aggiunge Fumettibrutti. «Questo mercato è ancora più complesso di quando sono arrivata io. Serve collaborazione, ascolto». Ma lo sguardo della fumettista è rivolto soprattutto alla comunità trans, nel mirino del Governo Meloni: «Bisogna smettere di trattare la vita delle persone trans come uno slogan. Non posso accettare che la nostra garante per l’infanzia, Marina Terragni, dica che ai ragazzi trans basta “la desistenza”. È stato detto ieri, in audizione in Commissione Affari sociali nella discussione sul Ddl Disforia. Ma quelle persone non hanno mai parlato con una persona transgender, né con una famiglia trans. Sono studi smentiti. Noi stiamo benissimo. Ci servono solo più diritti». Pausa. Applausi. «Il femminismo sta benissimo», conclude. «È una filosofia che mi ha salvata. Mi ha insegnato a leggere il mondo in modo diverso».

Teresa Ciabatti sorride: «Non so cosa dobbiamo fare per mandare via la Meloni, ma qualsiasi cosa sia, io partecipo». E si ride di nuovo, stavolta più forte. Sul palco restano i frammenti: di corpi, di libri, di generazioni. Il gesto politico, oggi, sembra questo: dirsi interi, dopo essersi fatti a pezzi.

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