Ha vinto con le sue idee, come si era promesso a Crotone che è già lontanissima da Bergamo figuriamoci da Dublino. La storia di Gian Piero Gasperini è quella di un uomo che non si è lasciato piegare dalle sconfitte. Un testardo e visionario. Che, lentamente, come un fiume ha attraversato il paesaggio, ha sopportato le curve e i salti e poi è arrivato al mare, trent’anni dopo, conservando la sua libertà e la sua natura.

La convinzione viene dal vivere il calcio in ogni momento. Sua moglie, Cristina, ha detto che si sveglia di notte, prende il computer e inizia a scrivere appunti, come Marcelo Bielsa. «Con il mio computer di notte o con la mia lavagna sto sempre studiando le soluzioni per la prossima partita e solo quando credo che funzioneranno, comincio ad applicarle in allenamento».

Per capire Gasp e la netta vittoria dell’Europa League l’altra sera con la sua Atalanta contro il Bayer Leverkusen di Xabi Alonso, tre a zero senza appello, bisogna partire dai suoi allenamenti.

Gli allenamenti

Tutti i suoi calciatori riempiono le interviste con la fatica e la tattica, come accadeva con quelli di Zdeněk Zeman. «Durante gli allenamenti i miei giocatori devono faticare. Chi non è abituato a lavorare sodo mi spaventa. Ma dalla lotta nascono le vittorie. Se non corri in allenamento, non corri durante la partita». È negli allenamenti che Gasp trova il posto migliore ai suoi calciatori dopo una applicazione maniacale delle sue idee, prova e riprova, mentre sfinisce i calciatori.

È un continuo battere e provare, fino alla perfezione. «Chi ci crede è uno di noi, chi ha paura se ne va». Gasp è l’allenatore che dai tacchetti degli scarpini alla disposizione sui calci d’angolo, dai battiti del cuore al minuto esatto del loro limite calcistico, dall’esatta posizione in campo fino all’elenco completo delle cose che possono fare e non fare: sa tutto dei suoi calciatori, perché è un tiranno del campo. Non lascia spazio al dibattito. O ti fidi e corri e obbedisci o cambi squadra.

Ma quelli che restano diventano speciali, tanto che sembrano più forti di quello che sono realmente e questo ha fatto la fortuna dell’Atalanta in questi anni, la lista dei calciatori che sono stati venduti come fenomeni è lunghissima, solo che senza Gasp non lo sono più. Il trucco è l’ossessione. Il resto viene di conseguenza.

Disegnare calcio

Un mago che trasforma tutti i ragazzi – o quasi – che gli capitano in squadra. Ci fosse una Bauhaus del pallone, Gian Piero Gasperini sarebbe Walter Gropius.

Dal cucchiaio alla città disegna e ridisegna il calcio: modella squadre, che adatta, aggiusta, rifinisce, cercando la perfezione, partendo dal 3-4-3 e arrivando al 3-5-2. «A metà degli anni Novanta allenavo le giovanili della Juve. Usavo il 4-3-3 ma in Italia il 90 per cento era 4-4-2, era tutto uno scimmiottare Sacchi. In Europa invece l’Ajax era fantastico, giocava 3-4-3 e i calciatori ballavano. Dopo averli visti, mi sono stufato e mi sono messo anche io a tre dietro. I due attaccanti avversari non vedevano palla, avevamo il possesso del gioco».

È sempre stato così Gasp: controcorrente. Criticato o inascoltato. Fino all’altra sera, prima della finale di Europa League, in conferenza stampa c’erano un pugno di giornalisti, mentre da Xabi Alonso – il nuovo che avanza, occupa spazi e vince – c’era un esercito, a riprova che la cultura sportiva è ancora lontana da essere acquisita.

Eppure l’uomo con i capelli bianchi, antipatico, scontroso, ortodosso, alla fine ha alzato la coppa, mentre l’altro, quello giovane, affascinante e con la narrazione a pioggia è rimasto con le mani in tasca dopo aver dribblato la sconfitta per cinquantuno partite di seguito.

La lunga rincorsa

Gasp ha pensato e poi fatto giocare una partita alla sua Atalanta che farebbe la gioia di Jacques Derrida: destrutturando il linguaggio di Xabi Alonso e del suo Bayer. Aggredendolo e non lasciandolo respirare mai: partendo con tre attaccanti e non pensando mai di rifugiarsi in difesa, la sua resistenza è stata attaccare, è così che ha vinto, è così che ha sconfitto il Liverpool di Klopp e prima il Marsiglia, insomma mezza Europa di tradizione calcistica messa a sedere e rimandata a settembre. E questa lezione di calcio la aspettavano da qualche anno, fin da quando l’Atalanta fu consumata dal Paris Saint-Germain in Champions League. «Se vuoi vincere le partite devi attaccare, se non scompigli un po’ il campo rischi di diventare prevedibile e facilmente neutralizzabile».

La lunga rincorsa di Gasp ha trovato nella tripletta dell’attaccante Ademola Lookman: calciatore inglese naturalizzato nigeriano, un percorso inverso che nella sua insolita rotta dice moltissimo sull’ortodossia gasperianatalantina. È come se avesse un politeismo febbrile che applica al calcio, mostrando uno spirito superiore fino a risultare gelido e distante, perché immerso in un pensiero forte, il suo. Alla fine con quel pensiero, l’architetto degli esterni, ha tirato su la sua cattedrale. È dagli esterni che costruisce squadre e giocate, azioni e vittorie.

«Un allenatore deve fare delle scelte: aspettare il nemico chiuso dentro il castello o uscire con un’azione di disturbo e poi rientrare velocemente dentro le mura. Io dico sempre che se sai difendere non perdi, ma per vincere bisogna attaccare».

Maestro di calcio

Il suo rimpianto come calciatore – quando giocava al Pescara – fu colpire involontariamente Diego Maradona sul labbro, spaccandoglielo; quello come allenatore – che divide con gente di lusso – è l’Inter, dove non ha avuto il tempo. Era la sua occasione, la grande squadra che non si aspettava – voleva la Juventus, dove è cresciuto –, ma ora può raccontare di aver trovato il posto che tutti cerchiamo e che ci rende speciali: Bergamo. E anche se dice di essere sempre lo stesso, per dire che è sempre stato un maestro di calcio, con una filosofia precisa, adesso, con il “titulo” in bacheca (che l’Italia non vinceva da 25 anni, l’ultimo fu Alberto Malesani – col Parma – che ora si occupa di filari di vigne e non di linee di calciatori) passa a un livello successivo, quello dove si viene venerati.

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