La dodicesima stella. L’Atalanta è il dodicesimo club professionistico del calcio italiano a passare nelle mani di una proprietà nordamericana, con le compagini statunitensi a dominare. Al termine di una trattativa repentina la famiglia Percassi ha ceduto il 55% del veicolo La Dea Srl, scatola di controllo dell’Atalanta Bergamasca Calcio di cui detiene l’86% del pacchetto azionario. A comprare è un gruppo di investitori statunitensi rappresentati da Stephen Pagliuca, managing partner e comproprietario dei Boston Celtics, franchigia Nba.

La notizia pubblicata dal sito ufficiale atalantino usa una formula soft per non parlare esplicitamente di cessione. Si riferisce piuttosto di “accordo di partnership” fra il gruppo Percassi e la compagine Usa, con una distribuzione delle cariche sociali e della governance che prevede la permanenza di Antonio Percassi come presidente e del figlio Luca come amministratore delegato, mentre per definire il ruolo di Pagliuca si ricorre alla formula anglofona di co-chairman.

Ma al di là delle rappresentazioni fornite, rimane che dal momento in cui l’accordo viene sottoscritto sono gli americani a detenere una posizione di controllo sulla società nerazzurra, pur lasciando che i Percassi mantengano un ruolo e continuino a fornire la propria esperienza. Non c’è invece traccia del fondo KKR (Kohlberg Kravis Roberts & Co), che nel pomeriggio di venerdì era stato dato come soggetto in procinto di acquisire la società nerazzurra ma ha fatto pervenire immediatamente una smentita.

Il ritorno di Bain Capital 

Oltre che comproprietario dei Boston Celtics, Stephen Pagliuca è co-chairman (la medesima carica di cui verrà insignito all’Atalanta) di Bain Capital, uno dei più grossi fondi d’investimento globali. E per il calcio italiano si tratta di un nome che ritorna.

Come raccontato a suo tempo da Domani, Bain Capital è stato in corsa a ottobre 2020 per acquisire una quota della costituenda media company della Lega di Serie A. In quell’occasione venne preferita l’offerta presentata da CVC Capital Partners, in cordata con Advent e FSI. Che a loro volta vennero estromessi in malo modo dal ripensamento di parte dei presidenti che compongono la cosiddetta Confindustria del calcio italiano.

Evidentemente, una volta incassato lo smacco, Bain Capital ha scelto di non demordere dall’intenzione di comprarsi un pezzo di calcio italiano. E per farlo ha scelto la via più diretta, mettendo le mani sulla società che negli anni più recenti è stata protagonista di una sorprendente scalata. Già nella giornata di oggi, per la nuova proprietà americana, arriva il primo “derby”: contro la Fiorentina della famiglia Commisso all’Artemio Franchi.

Il decennio panamericano

A questo punto le società di serie A finite sotto il controllo di una proprietà nordamericana sono otto, di cui sette statunitensi (oltre a Atalanta e Fiorentina abbiamo Genoa, Milan, Roma, Spezia e Venezia) e una canadese (Bologna). A questo gruppo si aggiungono tre club di Serie B (Parma, Pisa e Spal) e uno di Serie C (Cesena).

Un’espansione che non conosce arresti e potrebbe registrare ulteriori acquisizioni. Inoltre, si tratta di un fenomeno che riguarda non soltanto l’Italia né chiama in causa investitori esclusivamente nordamericani. Piuttosto, ciò che si può registrare in paesi come Spagna e Portogallo è una tendenza a vedere realizzare o tentare scalate anche da parte di proprietà sudamericane. Con gruppi brasiliani e argentini a fare pressione verso questa direzione.

Questo primo ventennio di Ventunesimo secolo ha registrato ondate diverse di investitori giunti nel calcio euro-occidentale da ben precisi quadranti geo-politici. Si è avuta la fase degli oligarchi russi e quella degli sceicchi. C’è stato poi un biennio di follia cinese, poi arrestato bruscamente. Gli anni Venti del Ventunesimo secolo si stanno muovendo lungo una direttrice panamericana, quasi sempre in attuazione di uno schema di multiproprietà. Dal Nord America arrivano fondi d’investimento e magnati. Dal Sud America arrivano agenti e oligarchi calcistici per agire in via diretta o tramite prestanome. Il calcio europeo diventa colonia. E quello italiano sembra lieto di esserlo.

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