Sarebbe stato Matteo Renzi a mettere in contatto John Elkann con Theodore Kyriakou, l’imprenditore greco che, in società con il governo dell’Arabia Saudita, è in trattativa per comprare Gedi.

La ricostruzione che circola da qualche settimana tra fonti moto vicine al dossier non trova però conferma dal diretto interessato. «Abbiamo letto la notizia su Domani, ma non siamo minimamente a conoscenza del dossier», assicurano fonti vicine al leader di Italia Viva. Di certo Renzi è buon amico di bin Salman e conosce fin da quando faceva il premier Kyriakou.

Di sicuro per ora c’è il fatto che né Gedi né Antenna, la società editoriale che fa capo a Kyriakou e nella quale ha una partecipazione di minoranza il regno saudita, quando hanno ricevuto le nostre domande prima della pubblicazione dell’articolo hanno voluto smentire la notizia o fornire precisazioni.

La scelta ha messo ulteriormente in allarme i colleghi delle varie testate del gruppo Gedi, tanto che ieri il comitato di redazione di Repubblica – nonostante le rassicurazioni del direttore, Mario Orfeo, che in riunione avrebbe «smentito nettamente» la trattativa – ha chiesto un incontro urgente con l’amministratore delegato, Gabriele Comuzzo, per chiedere spiegazioni su quanto riportato da Domani e sulle reali intenzioni di Exor, la holding olandese degli Elkann a cui fa capo Gedi.

Antenna Group, in cui Kyriakou è azionista principale oltreché presidente, è uno dei maggiori editori greci, ma ha attività anche a Cipro, Romania, Moldavia, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Australia e Stati Uniti.

La mancata presenza del gruppo in Europa occidentale spiegherebbe l’interesse verso l’Italia. Non solo il suo, ma anche quello del suo partner in affari, il principe saudita Mohammed bin Salman Al Saud, che da tempo sta provando a rifarsi una verginità agli occhi del mondo dopo lo scandalo dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, fatto a pezzi nel 2018 all’interno dell’ambasciata saudita in Turchia.

Attraverso la Mbc Group, società editoriale presente in tutto il Medio Oriente e Nord Africa, basata a Riad e quotata sulla Borsa saudita, all’inizio del 2022 il regno dei Saud ha investito 225 milioni di euro per comprare il 30 per cento di Antenna.

L’ultimo bilancio consolidato di Mbc Group, controllato direttamente dal governo guidato da bin Salman attraverso il fondo Pif, non specifica quale sia oggi la quota azionaria detenuta in Antenna, ma lo stesso gruppo greco dichiara che la società saudita, insieme alla holding canadese Fairfax, è «attualmente azionista di minoranza» del gruppo «con una quota che equivale a diritti di voto complessivi inferiori al 30 per cento».

Insomma, dopo l’investimento iniziale i sauditi hanno evidentemente diluito la propria quota a favore della canadese Fairfax, ma restano comunque ancora oggi azionisti della società interessata a comprare Gedi.

Bisognerà capire se la presenza del regno saudita – monarchia assoluta, in fondo a tutte le classifiche che misurano il rispetto dei principi democratici – porterà il governo italiano a utilizzare, in caso di accordo definitivo tra Elkann e Kyriakou, il golden power per fermare l’operazione Gedi.

Lo strumento normativo permette all’esecutivo di proteggere i cosiddetti «interessi strategici nazionali», definizione abbastanza lasca da permettere di includervi un po’ tutto. Di sicuro al momento i rapporti tra Giorgia Meloni e Mohammed bin Salman sembrano buoni.

Lo suggerisce la visita di Stato in Arabia Saudita del gennaio scorso, con la premier e il principe ereditario (nominato dal padre futuro re) seduti nella tenda di quest’ultimo. E lo indicano soprattutto le parole di Meloni: «C’è un enorme potenziale non sfruttato nella nostra cooperazione, e questa visita può aprire una fase nuova nella nostra partnership, per questo abbiamo elevato le nostre relazioni bilaterali al livello della partnership strategica».

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