«Credo che l’antifascismo sia stato molto importante nella storia italiana: ha accompagnato le lotte di tantissimi giovani. Ma aveva senso quando esisteva il Fascismo. Nel 2019 è una caricatura paradossale e un tentativo di fermare il senso della della Storia di un Paese che, prima o poi, dovrà fare i conti con la propria memoria».

A parlare così non è Ignazio La Russa, il presidente del Senato, che ci ha abituati alle sue imbarazzanti e antistoriche sortite, ma un altro uomo della destra di governo, Giampaolo Rossi. Rossi è il direttore scientifico della fondazione di Alleanza Nazionale, ma soprattutto un manager Rai che è pronto a diventare direttore generale della più grande azienda culturale del paese dopo le dimissioni indotte di Carlo Fuortes.

Lo vuole Giorgia Meloni, lo vuole Fratelli d’Italia, il partito che lo ha ospitato anche nella conferenza programmatica del maggio 2022. Lo avevano già proposto come ministro della Cultura, ma Rossi ha un archivio di dichiarazioni alle spalle leggermente compromettenti e inconciliabili con la nomina nel governo, alcune riguardavano il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella

Il silenzio che fa rumore

Domani ha già spulciato con dovizia di particolari il suo armamentario ideologico, ancora disponibile on line sul blog gentilmente ospitato da Il Giornale, lo storico quotidiano della famiglia Berlusconi, ma c’è dell’altro. 

Il Rossi pensiero è una miscellanea del meglio della destra sovranista, dall’idolatria di Vladimir Putin alla visione no-vax, dal «nostro inalienabile e sovrano diritto di essere padroni a casa nostra» fino «all’immigrazione di massa costruita a tavolino». Dice proprio così, costruita a tavolino, come un cognato qualsiasi, il ministro Francesco Lollobrigida ha di recente parlato di «sostituzione etnica». 

Dal 2018, quando entra nel consiglio d’amministrazione della Rai, Rossi si eclissa, termina le pubblicazioni sul blog, ma non ce la fa a trattenersi. E così attacca frontalmente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella per la sua gestione delle consultazioni prima della nascita del governo giallo-verde nel 2018: «Napolitano aveva abbattuto un governo legittimo; Mattarella ha impedito che nascesse».

Un prolungato silenzio che, di tanto in tanto, Rossi interrompe per regalare la sua visione del mondo e intervenire sulle questioni di attualità. Lo fa anche nel 2019, quando si scatena la polemica per l’esclusione dal salone del libro di Torino del libro su Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno, pubblicato dalla casa editrice Altaforte, considerata vicina a Casapound, gli autodichiaratisi fascisti del terzo millennio. 

Il possibile futuro direttore generale della Rai, all’epoca nel cda dell’azienda pubblica, non si trattiene e affida il suo pensiero al Primato nazionale, rivista sovranista e cara alla destra.

«Credo che stiamo vivendo un impazzimento generale del dibattito culturale e storiografico in Italia, dettato da una élite intellettuale sempre più arrogante e chiusa nella sua autoreferenzialità che non segue i cambiamenti in atto in Occidente; per questa élite l’intolleranza è un bisogno essenziale per affermarsi», diceva Rossi.

Poco più avanti ragionava su quello che definiva l’antifascismo ideologico: «L’antifascismo d’antan è ancora uno strumento di potere simbolico da esercitare nei circuiti editoriali, nei salottini intellettuali e in generale nel sistema del mainstream (...) Nel 2019 è una caricatura paradossale e un tentativo di fermare il senso della della Storia di un Paese che, prima o poi, dovrà fare i conti con la propria memoria». 

Parole che avevano provocato la reazione del sindacato di viale Mazzini, l’Usigrai: «L'antifascismo è un valore. Ed è un pilastro della nostra Costituzione. Altro che "caricatura paradossale"! Le dichiarazioni di Giampaolo Rossi sono gravissime e incompatibili con il ruolo di Consigliere di Amministrazione della Rai». Ora Rossi non sarà neanche più consigliere, ma direttore generale dell’azienda pubblica. E non è una caricatura. 

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