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Per Mura c’erano due tipi di giornalisti di ciclismo: quelli con la gastrite che ordinavano sempre riso in bianco e una fettina di vitello e quelli senza gastrite che ordinavano di tutto e di più.
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Amava i luoghi semplici che sanno raccontare con un piatto chi c’è di là in cucina e cosa sa offrire il territorio circostante se si ha voglia di fare quattro passi al mercato locale.
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Le sue recensioni non assegnavano voti e non esprimevano pareri feroci. Una giornata storta poteva capitare a tutti e allora meglio impiegare lo spazio a disposizione per suggerire i locali affidabili e non quelli da evitare.
Amava giocare con le parole, Gianni Mura, e ogni occasione era buona per anagrammare nomi, cose o situazioni in cui si trovava coinvolto. Anche quando si trattava di cibo. Soprattutto quando si trattava di cibo che - insieme allo sport - era il suo mondo. Forse perché aveva compreso prima di molti che tanto nell’uno quanto nell’altro bastava grattare un po’ la superficie per scoprire storie e conoscere persone. Chi lo ha conosciuto conserva di lui un ricordo intimo e personale, ma tutti conc



