Tutti sono vulnerabili in tempi di cyberguerra, persino il Vaticano. Secondo Recorded Future, società statunitense specializzata in cybersecurity, in svariati mesi la Santa sede è stata oggetto di attacchi hacker presumibilmente cinesi. Il 28 luglio scorso, infatti, il gruppo americano Insikt segnalava a Oltretevere la sua attività di monitoraggio, che riconosceva diverse attività sospette, poi rese note in un lungo report lo scorso settembre: «Il nostro gruppo ha identificato una campagna di cyberspionaggio con obiettivo proprio il Vaticano e altre organizzazioni cattoliche, almeno da maggio ad agosto scorsi» ha spiegato il Recorded Future's Insikt.

Rischio spionaggio

Secondo la società, dietro gli attacchi ci sarebbe proprio la mano Pechino. RedDelta, infatti, sarebbe «Un gruppo sponsorizzato dallo stato cinese, probabilmente impegnato a raccogliere informazioni sui negoziati tra Cina e Vaticano».

L’attività di spionaggio sul web è avvenuta nei mesi precedenti il rinnovo dell’accordo sino-vaticano. Tecnicamente è nota come “pishing” e consiste nell’intrusione nei server presi di mira attraverso email apparentemente innocue: «Utilizzando un malware, RedDelta avrebbe ottenuto l'accesso remoto alle macchine interessate al fine di raccogliere informazioni come l'ottenimento di documenti e l'intercettazione delle comunicazioni», spiegano i tecnici. Subito dopo la pubblicazione del rapporto, le attività di cyberspionaggio sono state interrotte, per poi riprendere nel giro di dieci giorni: «Ciò è indicativo della persistenza di RedDelta nel mantenere l'accesso a questi ambienti per raccogliere informazioni, oltre alla già citata tolleranza al rischio del gruppo».

Tra i target, «Abbiamo identificato un gruppo che ha preso di mira la diocesi cattolica di Hong Kong, la Missione di studio di Hong Kong in Cina e il Pime di Milano». Il Pontificio istituto di missioni estere, infatti, fa da cesura nei rapporti tra la Santa sede e Hong Kong. Lo scorso autunno il Segretario di stato vaticano, Pietro Parolin, ha scelto proprio la sede del Pime di Milano per salutare il rinnovo dell’accordo biennale tra Santa sede e Repubblica popolare cinese.

Pime osservato speciale

Il Pime è anche impegnato sul campo a Hong Kong. Figura di riferimento è il missionario Franco Mella, nella colonia dal 1974. Dopo la recente approvazione del nuovo sistema elettorale, che sancisce di fatto un controllo più stringente dei candidati elettorali da parte di Pechino e l’arresto degli oppositori democratici, l’impegno del religioso a Hong Kong continua in un clima di silenzio e incombente pericolo: «Quelli che l’anno scorso erano legislatori e deputati a Hong Kong, un anno dopo sono stati arrestati. Nessuno si aspettava una cosa simile» spiega.

Da settimane, p. Mella si batte per la scarcerazione dei dissidenti arrestati, come Jimmy Lai, fondatore del giornale democratico locale Apple Daily: «La chiesa ufficiale non aveva detto niente, i cristiani cattolici democratici sono sorpresi, e non si saprebbe cosa fare». Nel silenzio degli organi diocesani locali, come la Justice and Peace Commission, l’attivismo di Mella e di altri pochi cattolici della comunità rischia di subire una frenata autoritaria: «Non c’è più quella grinta – spiega – c’è anche paura di parlare perché puoi essere messo dentro da un momento all’altro». Tutto questo avviene con una chiesa cattolica spaccata in due e una sede vescovile ancora vacante: «La legge sulla sicurezza pende come una spada di Damocle anche su di noi perché abbiamo visto arrestare tante persone per crimini che non sono tali».

Spie da biblioteca

Non c’è solo la chiesa cattolica di Hong Kong tra i target del cyberspionaggio. Nel corso degli ultimi anni, anche la biblioteca apostolica vaticana è stata sotto gli occhi degli hacker. Ne ha dato notizia il Guardian a novembre scorso: «Non possiamo ignorare che la nostra infrastruttura digitale interessi gli hacker. Un attacco riuscito potrebbe vedere la raccolta rubata, manipolata o eliminata del tutto» ha spiegato Manlio Miceli, responsabile del Centro di elaborazione dati della Bav. Finora è stato digitalizzato il 25 per cento dei documenti, e per proteggerli la Santa sede ha assoldato un team di matematici di Cambridge, che ha sviluppato una tecnologia in grado di aumentare la sicurezza: «Questi attacchi hanno il potenziale di avere un impatto sulla reputazione della biblioteca vaticana e hanno significative ramificazioni finanziarie che potrebbero influire sulla nostra capacità di digitalizzare i manoscritti rimanenti», ha spiegato Miceli al quotidiano britannico. Attualmente, non è noto se la biblioteca vaticana abbia subìto attacchi più sistematici: contattata personalmente, ha preferito non rispondere alle domande.

Distorsione della realtà

«È innegabile che il Vaticano sia target di cyber-attacchi per l’impatto che il papa ha come guida morale e spirituale, anche in temi spinosi come i rifugiati», spiega padre Eric Salobir, domenicano e consulente esterno della Santa sede in materia di algoretica. Salobir fa parte della sub-commission Tech for Good, promossa dal presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, ed è padre di Optic, «Un network informale di persone interessate all’impatto che le tecnologie hanno sulla società umana con obiettivo di spingere le tecnologie a un approccio human-friendly, orientato verso il bene comune». P. Salobir sottolinea come, spesso, sia riduttivo vedere i cyber-attacchi soltanto come un tentativo di accesso a informazioni riservate: «Molte persone, inclusi i terroristi, vorrebbero non solo sapere ciò che c’è dentro i file vaticani, ma anche distorcerli», specifica. «La Santa sede è cosciente del rischio che l’accesso a informazioni riservate possa rappresentare nella distorsione della realtà con versioni fake di documenti apparentemente ufficiali. Questo metterebbe il Vaticano in una posizione molto scomoda» aggiunge.

Minaccia al bene comune

Un papa sociale come Bergoglio, tuttavia, vede nella tecnologia soprattutto una minaccia al bene comune. Nel 2019, rivolgendosi ai giganti del big tech, metteva in guardia dalle «forme di barbarie». Optic lavora in questa direzione: «Optic è stato fondato dall’ordine dei Predicatori, ma non include solo persone religiose: molte di loro non sono cristiane e provengono da svariati paesi. Questo permette di intavolare conversazioni tra persone che non parlano fra di loro, come sviluppatori, businessman e ricercatori in svariati campi, compreso quello filosofico e psicologico», spiega Salobir.

In questo solco si colloca Tech for Good, avviata dal presidente Macron: «Si tratta di un’iniziativa che raduna i leader del mondo tech una volta all’anno a Parigi perché lavorino insieme a tecnologie che abbiano un impatto positivo sul bene comune. L’idea è quella di seguire una direzione e fissare impegni concreti: una volta l’anno, uomini di business, esperti e politici si incontrano per discernere i passi che vanno fatti insieme: non si tratta di mettere i capi delle big tech in un angolo, ma di trovare insieme delle soluzioni» sottolinea.

Esempi come Optic e le attività di cybersicurezza sono due facce di una stessa realtà digitale che è necessario conoscere per poter controllare. Nel 2014, intervistato dalla Bbc, Stephen Hawking metteva in guardia da tecnologie che potevano minacciare la razza umana. Oggi, nella «terza guerra mondiale a pezzi» menzionata da papa Francesco, quelle stesse tecnologie hanno un ruolo preponderante e pervasivo. Sta ai singoli stati, compreso quello Vaticano, capire che direzione imprimere a una macchina già in corsa.

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