Il mio ultimo stipendio da primario di medicina d’urgenza con alle spalle trentacinque anni di lavoro ospedaliero e zero ore di attività libero professionale era di 5200 euro netti al mese per tredici mensilità.

Sullo stesso piano del reparto che dirigevo c’era una divisione di chirurgia specialistica il cui primario riceveva mensilmente in busta paga circa 40.000 (quarantamila!) euro netti. La differenza era dovuta alla sua attività libero professionale intramuraria, cioè svolta al di fuori dell’orario di servizio, in genere, ma non necessariamente, in spazi messi a disposizione dal proprio ospedale.

Nel caso specifico i forti guadagni derivavano prevalentemente da complessi interventi chirurgici effettuati presso case di cura che avevano una convenzione con l’ospedale. Scherzando, ma non troppo, gli dicevo che per me lui non era un collega, ma un nemico di classe. Tutto questo per dire che i medici ospedalieri non sono tutti uguali, e i loro guadagni neppure.

C’è medico e medico

Le cose non vanno molto diversamente quando si confrontano gli stipendi di chi non è all’apice della carriera. Un giovane medico internista o di Pronto soccorso guadagna poco più di 2500 euro netti al mese, mentre un suo collega chirurgo (generale, ortopedico, ginecologo o di altra disciplina) che operi anche in regime di libera professione moltiplica facilmente di diverse volte quella somma.

LaPresse


Credo che esplicitare queste cifre, per quanto indicative e non necessariamente trasferibili a tutti gli ospedali e a tutte le regioni italiane, sia importante in un momento come questo in cui il governo ammette senza più peli sulla lingua che non ci saranno i soldi necessari per sostenere la Sanità pubblica e che i professionisti che ci lavorano dovranno rimandare ad un futuro indeterminato le proprie speranze di vedere un aumento della loro busta paga.

Chi paga i medici ospedalieri?

Potrebbe sembrare fuori luogo parlare degli stipendi dei medici quando non si riesce ancora a raggiungere un accordo sul salario minimo e milioni di famiglie vivono al limite della povertà. Eppure credo che oggi, quando un medico gettonista di cooperativa viene retribuito più di un primario ospedaliero, sia utile per tutti definire meglio i confini del problema e ragionarci con cognizione di causa.  Vengo dunque ad alcuni aspetti che sono in genere poco  considerati quando si discute della retribuzione dei medici.

Innanzitutto, lo stipendio base dei medici ospedalieri è uguale per tutte le discipline, al netto di incentivi di progetto e di scatti di anzianità che non modificano sostanzialmente il quadro generale.

In secondo luogo i medici che hanno la possibilità di fare libera professione intramuraria – circa il 40 per cento – guadagnano complessivamente molto di più di quelli che decidono di limitarsi al loro lavoro di pubblici dipendenti.

Inoltre, consentire il lavoro in libera professione ai propri medici è lo strumento che i governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni hanno utilizzato per arginare la fuga dei medici dalla medicina ospedaliera. In altre parole, visto che lo stato non può permettersi di offrire ai propri medici uno stipendio adeguato, li retribuisce con i soldi che escono direttamente dalle tasche dei cittadini.

In questo modo, gli specialisti poco ricercati sul mercato libero professionale – per esempio i medici di medicina interna e i medici d’urgenza – sono destinati a guadagnare complessivamente meno (a volte molto meno!) dei loro colleghi di altre discipline. Anche per questa ragione sono sempre più difficili da reperire, nonostante si tratti proprio dei professionisti di cui il Servizio sanitario nazionale  (Ssn) avrebbe maggiore bisogno.

In favore di uno stipendio differenziato

È dunque necessario percorrere strade che sostengano i medici che si dedicano full-time al lavoro ospedaliero e che possano contrastare la loro crescente disaffezione al lavoro. Ne propongo due.

La prima è evitare aumenti a pioggia, destinando quanto sarà disponibile a sostenere e premiare il lavoro dei medici che rinunciano alla libera professione intramuraria, garantendo soprattutto a loro ogni possibile incremento salariale e il pagamento delle ore di lavoro straordinarie.

La seconda è credere nel fatto che il guadagno possa non essere l’unica motivazione per cui i medici hanno scelto un lavoro che, nonostante tutto, è in grado di offrire grandi soddisfazioni professionali e personali.

Molti medici accetterebbero aumenti contenuti della propria retribuzione se si vedessero garantiti  condizioni di lavoro soddisfacenti, sicurezza personale, una formazione gratuita e di  qualità, maggiori possibilità di carriera professionale, la non perseguibilità penale per gli errori colposi.

Alcune di queste cose si possono fare a costi contenuti e sarebbero dei segnali molto importanti per i professionisti della salute. Sempre che la politica creda davvero nella Sanità pubblica e che voglia dedicare alla sua difesa il massimo sforzo di bilancio e di programmazione.

© Riproduzione riservata