Sono passati quasi due mesi da quando i primi vaccini anti Covid-19 hanno iniziato ad essere distribuiti e oggi oltre 80 milioni di persone in tutto il mondo hanno ricevuto almeno la prima delle due iniezioni che servono a garantire una protezione duratura nel tempo.

Ma fino ad oggi, la distribuzione dei vaccini è stata estremamente diseguale. Alcuni paesi hanno ricevuto un altissimo numero di vaccni e sono già riusciti a proteggere una percentuale significativa della loro popolazione vulnerabile. Altri faticano a procurarsi un numero di vaccini sufficiente a vaccinare almeno gli operatori sanitari impegnati in prima linea e altri ancora, invece, preferiscono aspettare e vedere come procedono le vaccinazioni nel resto del mondo.

Il primo mondo è primo

Com'era prevedibile, nella classifica delle vaccinazioni i paesi ricchi la fanno da padroni. Gli abitanti degli Stati Uniti e quelli dell’Unione Europea sono all’incirca il 10 per cento della popolazione mondiale, ma hanno ricevuto quasi il 50 per cento di tutti i vaccini prodotti fino a questo momento.

I paesi più industrializzati al mondo, quelli che fanno parte dell’Ocse, hanno ricevuto fino a questo momento, più di 40 milioni di dosi di vaccino per circa un miliardo e pezzo di persone. La Cina, con un altro miliardo e mezzo di abitanti, ha ottenuto 22 milioni di dosi e i restanti 4 miliardi di esseri umani si sono dovuti dividere i dieci milioni di dosi che sono avanzate.

Ma ci sono diseguaglianze notevoli anche tra i paesi più ricchi. Stati Uniti, Regno Unito ed Israele sono fino ad ora i paesi che hanno ricevuto il maggior numero di dosi in base alla loro popolazione. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno ricevuto oltre 20 milioni di vaccini, un quarto di tutti quelli distribuiti al mondo fino a questo momento. Il Regno Unito ne ha ottenuti 7,6 e Israele 4,2, più del doppio di quante ne ha ricevute l’India, che ha una popolazione 150 volte più numerosa.

Europa indietro

L’Unione Europea invece è rimasta indietro in questa classifica e ha ricevuto circa 10 milioni di dosi, poco più del Regno Unito e meno della metà degli Stati Uniti e la situazione non sembra destinata a migliorare in fretta. In questi giorni la Commissione Europea è impegnata in una difficile battaglia con la società farmaceutica AstraZeneca, che la scorsa settimana ha annunciato una riduzione di circa il 75 per cento delle consegne destinate all'Unione Europea.

I paesi membri possono ancora contare sulle consegne di Moderna e Pfizer (quest’ultima era intenzionata a ridurre le sue consegne come AstraZeneca, ma la Commissione sembra essere riuscita a raggiungere un accordo), ma difficilmente le due aziende riusciranno a fornire abbastanza dosi da permettere un recupero del ritardo rispetto a Stati Uniti e Regno Unito.

Nonostante l’Unione Europea sia una delle aree più ricche del mondo e sia dotata di un’avanzata industria farmaceutica, le autorità europee si sono mosse relativamente tardi per acquistare vaccini (la sanità non è una competenza europea e diversi stati membri hanno dovuto fare pressioni affinché la Commissione assumesse il ruolo di “centrale acquisti" dei vaccini) e questo spiegherebbe in parte gli attuali ritardi.

Altri puntano il dito sul fatto che, negoziando per conto di tutta l’Unione, la Commissione è riuscita a spuntare alcuni dei migliori prezzi (una dose di vaccino Pfizer costa agli stati membri la metà di quanto paga Israele), ma questo potrebbe aver influenzato l’apparente lentezza che ha caratterizzato le consegne nel vecchio continente.

Il caso dell’Asia

Stati Uniti, Regno Unito ed Israele, hanno agito molto in fretta per procurarsi i vaccini, non hanno badato a spese e sono riusciti a procurarsi milioni di dosi prima del resto del mondo. L’Unione Europea, come abbiamo visto, è arrivata in ritardo e insistendo su un prezzo abbordabile ha forse contribuito a rallentare il ritmo delle consegne. I governi di Africa e America Latina sono in genere troppo poveri per permettersi l’acquisto di massicci quantitativi di vaccini in questa fase di competizione estrema.
Restano Asia e Oceania, due continenti che in rapporto alla popolazione hanno ricevuto pochissimi vaccini, ma che rappresentano un caso diverso rispetto a quello degli altri paesi in via di sviluppo.

Stati come Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, infatti, avrebbero all’incirca le stesse possibilità degli altri paesi industrializzati di procurarsi e distribuire vaccini. Ma allo stesso tempo sono anche i paesi che hanno contenuto meglio l’epidemia. La seconda ondata per loro ha significato nuovi casi nell’ordine delle centinaia, non delle decine di migliaia. Oggi, in Giappone, Nuova Zelanda, ma anche in Cina e Vietnam, la vita prosegue in modo relativamente normale e non c’è l’urgenza che hanno, ad esempio, gli europei di fermare un contagio fuori controllo.

L’atteggiamento che questi paesi hanno sviluppato nei confronti del vaccino è quindi quello di osservare come la situazione evolve negli altri paesi e non accelerare troppo le procedure. L’Australia, ad esempio, ha approvato il vaccino Pfizer soltanto questa settimana e non pensa di approvare quello AstraZeneca fino al prossimo mese.

Come ha spiegato all’agenzia di stampa Bloomberg il dottor Lam Ching-choi, uno dei consulenti del governo di Hong Kong: «Non è una brutta cosa sedersi e aspettare, guardando nel frattempo come vanno le cose negli altri paesi. Ma capisco benissimo i governi di quei paesi che non hanno il lusso di poter fare questa scelta e devono vaccinare più in fretta possibile».

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