La Commissione europea e la società farmaceutica AstraZeneca si trovano in uno scontro senza precedenti sulle forniture di vaccini anti Covid-19 dopo che la multinazionale anglo svedese ha annunciato che non riuscirà a rispettare i tempi di consegna pattuiti.

La riduzione dovrebbe essere pari a circa il 75 per cento del totale, un taglio che, se confermato, renderà molto difficile raggiungere l’obiettivo di vaccinare il 70 per cento della popolazione europea entro la fine dell’estate. In tutto, AstraZeneca avrebbe dovuto consegnare 300 milioni di vaccini nei primi sei mesi del 2021.

Per l’Italia, i ritardi annunciati significano una riduzione pari a circa l’80 per cento delle dosi che il governo si aspettava di ricevere entro i primi tre mesi del 2021, da 16 milioni a 3,4.

Diversi incontri tra rappresentati dell’Unione e della società sono avvenuti questa settimana, l’ultimo si è concluso ieri sera, ma al momento non sono stati raggiunti risultati definitivi.

La versione di AstraZeneca

AstraZeneca ha spiegato che i ritardi annunciati sono dovuti a una serie di problemi negli stabilimenti della società che hanno sede nell’Unione europea. Il Regno Unito, che riceve vaccini AstraZeneca prodotti sul suo territorio, non ha subito ritardi. Secondo l’azienda, questa differenza di trattamento si spiegherebbe con il fatto che il Regno Unito ha firmato un contratto di fornitura tre mesi prima dell’Unione europea, dando così alla società il tempo di preparare la produzione negli stabilimenti britannici ed evitando i problemi che ora rallentano quelli con sede nell’Unione.

Inoltre, il contratto firmato dalla Commissione conterrebbe una clausola “best effort”, l’azienda si sarebbe cioè impegnata a “fare del suo meglio” per rispettare le consegne concordate, ma non avrebbe obblighi in merito.

«Logica da macellai»

«Respingiamo questa logica da macellai, per cui il primo che arriva è il primo a essere servito», ha risposto ieri la commissaria europea alla Salute Stella Kyriakides, mentre la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen ha chiesto alla società di rendere pubblico il contratto di fornitura.

Secondo la commissione, una riduzione di tre quarti delle consegne previste non può essere soltanto il frutto di piccoli problemi di produzione e sospetta che dosi destinate all’Unione siano state inviate in altri paesi. Inoltre, ritiene che se le fabbriche europee non riuscissero a consegnare quanto pattuito, AstraZeneca dovrebbe dirottare in Europa la produzione delle fabbriche situate nel Regno Unito, visto che il contratto non fa alcuna distinzione tra le linee di produzione dell’azienda.

Ieri, il presidente della commissione Ambiente e salute del parlamento europeo Pascal Canfin ha chiesto agli amministratori delle società farmaceutiche che hanno sottoscritto contratti con l’Unione europea di presentarsi in audizione per discutere i loro contenuti.

«La Commissione ha reagito in maniera molto ferma, arrivando a dichiararsi disponibile a rendere pubblico il contratto», dice l’eurodeputata del Pd Simona Bonafé, che fa parte della commissione Ambiente e salute e ha seguito il dossier vaccini in queste settimane. Questa disponibilità indica che probabilmente «è in corso qualche forma di speculazione sanitaria non accettabile».

Bastoni e carote

«Navighiamo un po’ nel buio e nessuno può dire chi ha ragione in questo scontro fino a che non sarà pubblicato il contratto», spiega il professor Laurent Manderieux, esperto di proprietà intellettuale e docente all’Università Bocconi. Per sospenderle le clausole di riservatezza è necessario l’accordo di entrambe le parti, un esito inevitabile se la pressione dell’opinione pubblica è abbastanza forte, dice Manderieux. «È già accaduto in passato».

Se Commissione e AstraZeneca non troveranno un accordo dovranno ricorrere a un arbitrato internazionale, una procedura con tempi lunghi che difficilmente potrà cambiare il ritmo delle consegne. Un’altra soluzione discussa in questi giorni è quella di bloccare le esportazioni dei vaccini prodotti sul territorio dell’Unione.

Ma, secondo Manderieux, la cosa migliore che può fare la Commissione al momento è pensare al futuro. Per garantire sufficienti vaccini all’Unione europea, ma anche agli altri paesi, bisognerà firmare nuovi contratti in futuro «a quel punto sarà bene che l’attuale lezione venga appresa e si capisca che con le società farmaceutiche bisogna usare la carota delle collaborazioni e dei finanziamenti, ma anche il bastone delle licenze obbligatorie», cioè quegli strumenti previsti dai trattati internazionali e che consentono di imporre alle aziende di cedere i loro brevetti, come quelli che proteggono i vaccini, una soluzione sempre più caldeggiata da accademici e attivisti, ma che le istituzioni europee sembrano ancora esitanti a considerare.

 

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