Negli ultimi mesi l’attivismo del ministero dell’istruzione e del merito rispetto alla conoscenza delle foibe è stato al limite dell’ossessivo. Soltanto a gennaio e febbraio sul sito del ministero dell’Istruzione e del merito sono comparse notizie a cadenza almeno settimanale riguardanti iniziative di promozione della memoria delle foibe, anche non legate alla ricorrenza della giornata del Ricordo.

Alla fine del 2022 era stato pubblicato un vademecum di quasi cento pagine pieno di suggerimenti per la didattica sulla frontiera adriatica, ovvero il confine orientale, ovvero le foibe; Eric Gobetti ne aveva fatto un’analisi accurata per Domani. È molto evidente che nessun altro argomento ha quest’attenzione del ministero dell’Istruzione; anzi diciamola tutta: nessun argomento di rilevanza storica viene trattato con questa specificità e con un’insistenza che ha dell’emergenziale.

I viaggi di istruzione

Tra le varie proposte che vengono incoraggiate ci sono quelle dei viaggi d’istruzione a Basovizza. Anzi, diciamola meglio: arriverà tra poco in parlamento un disegno di legge per incrementare i fondi (nell’ordine del milione di euro) per i viaggi d’istruzione a Basovizza e alla Lega nazionale, l’associazione triestina che gestisce le visite nel luogo. La foiba di Basovizza, del resto, è entrata effettivamente a far parte, in modo strutturato, degli itinerari che le agenzie di viaggio offrono alle scuole.

Anche a me quest’anno è capitato di accompagnare i miei studenti di un terzo anno dello scientifico in un viaggio d’istruzione a Trieste e dintorni, e nel nostro programma avevamo compresa anche questa tappa.

L’ho voluta affrontare senza pregiudizi affidandomi all’offerta didattica locale, e posso dire dunque che visitare la foiba di Basovizza è una delle esperienze educative più deprimenti che si possano fare. Ci si arriva con il pullman, siamo a pochi chilometri di Trieste, nella zona carsica al confine con la Slovenia.

Nel paese vicino, Basovizza, come in tutta la zona, tutto mostra il carattere doppio di quest’area di confine: ogni cartello, persino gli «Attenti al cane» o i «Chiuso il sabato pomeriggio» sono almeno bilingui, italiano e sloveno.

Accanto a questa evidenza, ci sono qua e là ancora le scritte di un conflitto che non è per nulla pacificato: i miei studenti mi chiedono il perché di un Trieste non è italiana, o mi riportano le parole che in qualunque bar si possono ascoltare da chi vuole raccontarti le storie politiche ma anche famigliari attraversate, spesso lacerate da una lunga scia di conflitti della storia.

La foiba di Basovizza è un’eccezione insensata, come a voler mostrare una pacificata versione ufficiale artificiale che non esiste ed è irragionevole che esista. A partire dalla lingua: è l’unico luogo in cui non esiste altra lingua che l’italiano, nei pannelli informativi, nelle scritte commemorative, nel materiale didattico per le scuole.

La Lega nazionale

La cura del “monumento nazionale” è affidata alla Lega nazionale, un’associazione triestina fondata nel 1890, alla quale secondo il disegno di legge del governo dovrebbero essere ancora destinati e aumentati i fondi.

All’ingresso di quello che dovrebbe essere lo spazio didattico sono esposti libri di piccole case editrici, spesso autopubblicazioni, di valore storico molto disomogeneo (se vogliamo essere eufemistici); un volontario anziano, non una guida professionale, mi dice che su richiesta ci sono dei volantini anche in altre lingue, me li mostra relegati in un angolo: testi molto elementari in fotocopia spillati con una graffetta.

L’assoluta incongruità e inadeguatezza dell’affidamento alla Lega nazionale della cura museale e didattica di questo luogo è ancora più evidente se conosciamo la storia e la missione di questa associazione. Nata alla fine dell’ottocento per la promozione della lingua e della cultura italiana – in un contesto storico in cui Trieste faceva parte dell’impero asburgico, e gli italiani costituivano una minoranza ovviamente anche in conflitto con il governo viennese e con la popolazione slava – oggi proseguono, come se non fosse passato più di un secolo, la loro opera di rivendicazione di un’identità italiana astratta e astorica in un territorio tra i multiculturali e multilinguistici d’Europa.

Con un italiano spesso incerto e involuto nelle loro pubblicazioni sul loro sito, nelle loro prolusioni pubbliche, rivendicano l’eredità civile della lingua di Dante, ricordano che “la storia di cui siamo portatori si colloca sotto il segno di Roma e di Venezia e che “il futuro che ci attende si colloca sotto il segno della nostra capitale morale, la città di Trieste”.

Questo genere di retorica sarebbe rubricabile a nostalgia di un gruppo di militanti dichiaratamente anticomunisti (l’ostilità al socialismo sembra il vero collante ideologico delle attività dell’associazione), se non fosse che è in mano loro la cura istituzionale della didattica sulle foibe, da Basovizza al magazzino 18.

Non è soltanto l’enfasi nazionalistica che non di rado scade nell’autoparodia ed è al limite dello sciovinismo e del razzismo antislavo che va segnalata, ma il dilettantismo e l’approssimazione della ricerca, della divulgazione e della didattica storica. Non so quanto il comitato scientifico che è stato chiamato a comporre i pannelli di introduzione alla visita alla foiba sia a conoscenza dello stato penoso di questa operazione istituzionale. Davvero hanno avallato l’affidamento di questo sito a un’associazione, come Lega nazionale, che si muove tra vittimismo astorico, amatorialità e propaganda mal celata?

Il paragone con la Risiera di San Sabba, un luogo che spesso nei viaggi d’istruzione viene anche impropriamente abbinato alla foiba di Basovizza, diventa però d’obbligo e impietoso per quanto riguarda la musealizzazione: il sito della Risiera, uno dei campi di concentramento e l’unico anche di sterminio in Italia, è stato trasformato in un luogo per la comprensione della storia, non per la celebrazione di una memoria vittimistica e nazionalistica.

La quantità e la qualità degli apparati didattici, tutti in tre lingue (italiano, sloveno, inglese), la possibilità di accesso a fonti e documenti; la cura anche della narrazione tragica ma anche conflittuale della storia di questo territorio, rendono la visita un momento formativo importante, che gli studenti – e i visitatori in generale – possono affrontare in modo autonomo: è un’esperienza chiaramente molto forte dal punto di vista emotivo ma che stimola anche una riflessione sulla ricerca storica e sulla problematicità della memoria.

La povertà intellettuale che invece viene palesata dalla visita alla foiba di Basovizza mette in imbarazzo persino le guide, che devono cercare di compensare, correggere, approfondire, spiegare una vicenda complessa, problematizzando il racconto di un luogo che altrimenti sembrerebbe portare soltanto a un’emozione slegata dalla riflessione, e al massimo nutrire confuse idee di cosa vuol dire la storia, la memoria e lo studio dei conflitti del passato.

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